Covid in Lombardia, lo scienziato Bucci: «I numeri non sono bassi, servono scelte più rigorose»

Covid in Lombardia, lo scienziato Bucci: «I numeri non sono bassi, servono scelte più rigorose»
di Mauro Evangelisti
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Domenica 21 Giugno 2020, 09:08 - Ultimo aggiornamento: 12:19

«Dobbiamo parlare del caso Lombardia, perché nel resto d'Italia ormai la situazione è buona, anche se bisogna sempre essere pronti a fermare ogni focolaio. Ma in Lombardia ci sono ancora troppi nuovi casi, forse sarebbe servito un atteggiamento più rigoroso».
Enrico Bucci, Ph.D. in Biochimica e Biologia molecolare, è professore aggiunto alla Temple University di Philadelphia, negli Stati Uniti. Cosa pensa dell'andamento dell'epidemia di Sars-CoV-2 in Italia?
«Ormai bisognerebbe, più che altro, discutere di andamento dell'epidemia lombarda, vista la distribuzione del virus. In generale, in Italia l'andamento è favorevole; ma quella regione vede ancora troppi casi attivi ed ancora troppi nuovi casi di infezione. Il fatto che i numeri ci sembrino bassi, dipende solo dall'aver passato situazioni ben peggiori; i numeri odierni facevano ben altra impressione a fine febbraio. Oggi dobbiamo soprattutto preoccuparci di spegnere ogni nuovo focolaio fuori dalla Lombardia, mentre in quella regione bisognerebbe mantenere un atteggiamento un po' più rigoroso per quel che riguarda il contenimento».

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Si parla in una più bassa carica virale nei nuovi tamponi, quanto è affidabile questa affermazione? Perché allora il contagio sta proseguendo?
«Non posso e non voglio giudicare affermazioni affidate ai giornali, senza avere dati precisi pubblicati circa il numero dei soggetti esaminati, loro provenienza, loro stato clinico e significatività statistica complessiva dell'analisi condotta. Le affermazioni scientifiche si giudicano nel contesto appropriato, non dalle dichiarazioni improvvidamente affidate alla stampa».
Teme una possibile seconda ondata in autunno visto che comunque quota zero contagi ancora non l'abbiamo raggiunta e forse non la raggiungeremo?
«Io sono preoccupato dalla mancanza di preparazione reale del sistema che serve per impedire che un'eventuale ripresa epidemica vada nuovamente fuori controllo. Ancora oggi, si fatica ad ottenere tamponi, si fatica ad ottenere numeri che significhino qualcosa, si fatica ad ottenere l'adesione alle misure minime per il contenimento, e per finire si sostiene azzardatamente che il virus non esista più, che non infetti più, che non causi più malattia grave. Il pericolo reale, più del virus, è l'impreparazione e la sottovalutazione. Ad un eventuale incendio ci si prepara comunque per bene, anche se questo non dovesse poi verificarsi: è la cultura della prevenzione, che continua a mancare, e che non ci ha permesso di apprendere la lezione della Sars, impedendo i guai poi realizzati dal Sars-CoV-2 (come invece avvenuto in Corea del Sud)».
Come spiega il fatto che in Lombardia ogni giorno ci siano ancora centinaia di nuovi casi positivi?
«È la regione che è stata maggiormente colpita. Ed è anche la regione ove il virus ha avuto più tempo di rafforzarsi all'ombra della cultura del #nonsiferma».
È giusto continuare con le misure di contenimento, come mascherine e distanze?
«Sì. Il virus circola ancora, ed anche se è pienamente possibile che sia soggetto a stagionalità, il fuoco cova ancora sotto la cenere. Naturalmente, non bisogna eccedere con misure stupide, come la persecuzione di chi, in piena solitudine, non porti la mascherina perché magari fa jogging. Così come bisognerebbe evitare i bizantinismi di una burocrazia che detta norme assurde agli esercenti, inutili nella realtà italiana ove non si è capaci di assicurare un tracciamento efficiente, fatte le debite eccezioni virtuose. Si ha l'impressione che chi ci governa voglia scaricare sui cittadini le responsabilità per eventuali future epidemie, spostando investimenti ed attenzione da misure di sanità pubblica e monitoraggio epidemiologico alla sanzione del cittadino ed alla sua diretta responsabilità».
Quanto è rischioso il fatto che la pandemia non sia in sincrono nel mondo, tenendo conto del dramma che stanno vivendo Perù, Cile e Brasile?
«Molti paesi - in aggiunta a quelli che lei ha nominato - sono in questo momento duramente colpiti o vedono pericolosamente aumentare i contagi. Alcuni stati Usa - fra cui soprattutto Texas, Arizona e Florida -, paesi come la Russia, e più ancora l'Ucraina, mantengono estesi serbatoi del virus, in aggiunta a quelli latinoamericani. Altri paesi vedono riaccendersi focolai, dopo aver virtualmente azzerato il virus (Nuova Zelanda, ma anche dei nuovi focolai di Berlino, Cina, Corea). Questa situazione testimonia dell'ampia circolazione del virus a livello globale, che, in un mondo iperconnesso e globalizzato, significa essere esposti al continuo rischio di reingresso anche per paesi come l'Italia, che oggi vedono una generale ritirata del virus rispetto a marzo-aprile. Questo rischio sanitario è ben riassunto dal concetto di Global Health dell'Oms: in un mondo come il nostro, non esiste epidemia che non ci riguardi».

 

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