Roma, anziani, cavalli: quando Alberto Sordi scriveva per Il Messaggero, il suo giornale

Roma, anziani, cavalli: quando Alberto Sordi scriveva per Il Messaggero, il suo giornale
di Alberto Sordi
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Sabato 13 Giugno 2020, 09:52
Il giornale che per primo si accorse di lui, Il Messaggero - a partire da questo articolo - ospitò il suo sguardo su Roma e non solo: dal 1° dicembre 1988 al 2002, Alberto Sordi scriveva della solitudine degli anziani, di slang romanesco, maccaroni, cavalli e botticelle o ombrelloni di Ostia.

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Roma è la città più bella del mondo. Qualcuno - ha scritto Alberto Sordi per Il Messaggero - potrebbe contestare questa affermazione? Roma è anche la città in cui sono nato, dove ho la mia casa, dove vivo. Dirò addio a Roma solo quando andrò all’altro mondo. E il mondo, quello “di qua”, io lo conosco tutto. Vi posso assicurare che non esiste città più vivibile della nostra. Roma è bella non solo perché è ricca di valori artistici e storici, di monumenti: questi ultimi sopravvivono sebbene danneggiati dall’inquinamento. 


Alberto Sordi nella tipografia del Messaggero il 10 dicembre 1988 con Luigi Pasqualetti, Franco Barison, Aldo De Luca e Luigi Pasquinelli (Foto Ermando Di Quinzio)

Quello che è cambiato, tanto da rendere la Capitale ormai irriconoscibile rispetto ai tempi in cui io ero ragazzo, è un certo modo di vivere e di divertirsi che ci fa somigliare agli abitanti di Parigi, Londra, New York. E’, in poche parole, la voglia di spettacolo.
Quando ero giovane io, prima della guerra, Roma era una città residenziale dove si svolgevano tutte le cerimonie ufficiali. Esistevano anche le feste rionali, le scampagnate sui treni popolari, le canzoni romane, il balli folkloristici, le parate, le sfilate, i saggi ginnici… C’erano la banda al Pincio e qualche teatro. Magari un cinema. I night club erano pochissimi, riservati a clienti particolari, preferibilmente stranieri. 

E la maggioranza dei romani? Tutti a nanna. Alle dieci di sera, la città appariva buia e deserta. Se uno capitava per la strada a quell’ora, non poteva fare altro che tornare a casa a dormire. 

Non si scorgevano insegne luminose. C’era solo il tenue chiarore dei lampioni avvolti dalla retina. Insomma, la città dava l’impressione di un grande museo. Chiuso, deserto. Era un’impressione bella e suggestiva, ma non si può vivere solo di opere d’arte. Per elevarsi, per nobilitarsi, lo spirito ha bisogno anche di svago. 

Nel passato, Roma non si è mai preoccupata di aprire locali pubblici dove la gente potesse incontrarsi e divertirsi. Una certa austerità, ai tempi della mia giovinezza, aveva castigato un po’ tutti. Cosa rimaneva agli abitanti della Capitale? La solita osteria, il cinema di quartiere, il teatro una volta all’anno… E nient’altro, per passare una serata in allegria. I romani, come al solito piuttosto indolenti, non reagivano a questa situazione immobile e un po’ triste: anche perché, non essendo abituati a viaggiare, non potevano fare paragoni con le altre città del mondo.

Oggi la situazione è molto cambiata. Non abbiamo niente da invidiare a nessuno. Abbiamo cinema, teatri, iniziative, attività effimere e permanenti. Non sono pochi i locali notturni. I ristoranti sono sempre pieni, la gente esce e s’incontra, si diverte insieme. Perfino a Ferragosto, quando le altre città si spopolano, da noi la vita continua. Per fortuna. Per questo cambiamento, dobbiamo ringraziare anche il Nord, in particolare i milanesi che si sono stabiliti a Roma: hanno portato una ventata di novità e trasformato, in un certo senso, la città nella quale viviamo.

Ricordo che, da ragazzo, pensavo a Milano come a un posto mitico e straniero, pieno di luci, di insegne “magiche”, con una vita notturna misteriosa e attraente. Oggi Roma è diventata la città dei miei sogni giovanili. E’ la capitale del divertimento, delle iniziative, dei movimenti artistici, dello spettacolo. La gente dimostra una meravigliosa voglia di uscire e non ha perso il gusto di uscire. Senza contare la “scenografia” naturale, che esalta qualsiasi iniziativa. In questo senso, Roma non ha eguali nel mondo: perché, prima di tutto, è lei che fa spettacolo.
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