Viterbo, commercio in crisi. Confimprese: «Manca un piano per il rilancio della città»

Il quartiere storico del capoluogo
di Luca Telli
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Venerdì 5 Giugno 2020, 09:40 - Ultimo aggiornamento: 15:45

«Manca un piano, la verità è questa». Giancarlo Bandini, segretario di Confimprese lancia l’allarme: per il centro storico il tempo è quasi finito. Sempre più le aziende in crisi, strozzate dalla chiusura prolungata e dai consumi che stentano a ripartire.

«Si sente, ora più che mai, l’assenza della mano di un’amministrazione che faccia un passo avanti e detti l’agenda – continua Bandini -. Intervenire sulle tasse è un primo passo, permetterà di avere un pizzico di liquidità in più: ma senza rifornimenti la macchina si spegne. I negozi sono l’anima del centro, se chiudono muore tutto. Serve riportare gente».

 La retromarcia del sindaco Arena sulla ztl, e il frantumarsi di un progetto coltivato a lungo (per stessa ammissione dell’assessore al centro storico Laura Allegrini) rimandato a data da destinarsi, ha fatto storcere il naso a più di qualcuno: nel settore abbigliamento come in una frangia della ristorazione.

«Pedonalizzare non significa blindare la città, piuttosto metterla a misura d’uomo – continua Bandini –. Sugli orari si può lavorare ma qui parliamo di una resa a priori, senza un tentativo.  Del resto, che le idee non fossero chiare si è visto con il mercato: gli ambulanti trattati come commercianti di seconda fascia e spediti fuori le mura per non disturbare. Un capitolo chiuso che adesso sarebbe da riprendere in mano, con la gente in fuga dal centro un po’ di movimento farebbe comodo».

Secondo Bandini, e idea condivisa da altre associazioni di categoria a cominciare da Confesercenti e Anva, il mercato potrebbe essere infatti un richiamo, garantire visibilità maggiore ai commercianti del centro e contribuire all’aumento dello scontrino medio settimanale. «Il problema è proprio questo: la continuità – spiega Alessandra Di Marco di Rete impresa Viterbo Capitale Medievale –. Ci sono giorni in cui converrebbe rimanere a casa, e altri dove il lavoro sembra tornato su buoni livelli. Stare sulle montagne russe però, per un’attività, non è il massimo: impedisce qualsiasi tipo di programmazione”.

 E, nei casi delle aziende più fragili, ne mette a rischio la sopravvivenza. Per ora, i negozi stanno rispondendo alla crisi incentivando gli acquisti con una scontistica spinta, da alcuni, oltre il 30%. Vere e proprie svendite, anche su merce che in tempi normali non finirebbe in saldo prima di settembre. Un tentativo da leggere nell’ottica di una terapia d’urto impossibile da sostenere nel lungo periodo. «Il settore abbigliamento è quello che risente di più non per le nuove regole ma perché da 10 anni è in stato comatoso– conclude Bandini -. Purtroppo siamo all’inizio, il peggio rischia di arrivare nei prossimi mesi quando le tasche si svuoteranno e il complesso commerciale sulla Cassia Nord si animerà. Senza una concertazione sarà la fine per tanti dentro le mura».

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