CasaPound, 16 indagati. Si tratta per lo sgombero del palazzo: «Nessuno è indigente»

CasaPound, 16 indagati. Si tratta per lo sgombero del palazzo: «Nessuno è indigente»
di Michela Allegri e Alessia Marani
4 Minuti di Lettura
Venerdì 5 Giugno 2020, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 09:12

Il palazzone di via Napoleone III, nel quartiere Esquilino di Roma, occupato abusivamente da quasi un ventennio, non è soltanto la sede di Casapound, ma è anche e soprattutto il quartier generale di quella che, per la procura, è una vera e propria associazione a delinquere finalizzata all’istigazione dell’odio razziale. Un edificio pubblico di pregio utilizzato illegalmente dal dicembre del 2003 per finalità politiche e non di certo per questioni di emergenza abitativa.

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Per questo motivo il pm Eugenio Albamonte ha chiesto e ottenuto il sequestro preventivo dell’immobile. Il gip, per il momento, ha riconosciuto solo uno dei due reati contestati dalla procura: l’occupazione abusiva, più che palese. Mentre per dimostrare l’esistenza di un’associazione a delinquere è stato chiesto un supplemento di indagini. Nel frattempo, entrambe le accuse vengono ipotizzate nei confronti di 16 indagati: tutti militanti e inquilini dell’immobile, compresi i vertici del movimento di estrema destra, Gianluca Iannone, Andrea Antonini e Simone Di Stefano.

L’atto istruttorio non comporta l’immediato sgombero del palazzo, dove vivono da anni nuclei familiari composti da militanti - praticamente tutti percepiscono un regolare reddito, non sono disagiati - e che dalla prossima settimana passerà nella disponibilità del tribunale capitolino. Le procedure verranno gestite dal Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza, che dovrà coordinarsi con la Procura. Per il momento, si cerca un’intesa: la speranza è che i militanti si allontanino pacificamente. Ma la questione rischia di andare per le lunghe. L’uscita di Casapound dal palazzo occupato 16 anni fa e ormai simbolo di una forte presenza nella Capitale difficilmente si concretizzerà in un blitz lampo, a meno che, nel frattempo, si trovi una exit-strategy più o meno indolore. Il movimento non ha nessuna intenzione di lasciare: politicamente sembrerebbe una resa. Ma anche scatenare la guerriglia in caso di resistenza a oltranza non renderebbe una bella immagine di un partito che, rispetto ad altri movimenti dell’ultradestra, ha sempre dimostrato di tenere un profilo più dialogante. 
 


LA CONFERENZA
Di Stefano, vicepresidente di Casapound, ieri in una conferenza stampa improvvisata sul marciapiede di via Napoleone III, davanti ai cronisti e alle telecamere, ha subito messo le cose in chiaro: «Non sapevamo nulla di questo sequestro, perché proprio noi e non altre occupazioni? È una questione politica. Faremo ricorso». Il leader ha anche sottolineato «l’intenzione di restare, se si vuole trovare una soluzione, questo è un palazzo pubblico e, dunque, si può assegnare alle persone che sono qui dentro». Soluzione che difficilmente il Campidoglio potrebbe accettare, anche perché, come sostiene la Procura, all’interno del palazzo di proprietà del Demanio non ci sarebbe traccia di indigenti veri e propri. Oltretutto, la notizia del sequestro è stata accolta con entusiasmo dalla sindaca Virginia Raggi, che l’ha definita «un momento storico, una vittoria per la città».

Parole che hanno provocato reazioni via social con vere e proprie minacce: «Vuoi mettere in strada 20 famiglie italiane - si afferma in un post che è già stato rimosso - fra un anno l’attenzione mediatica e la scorta spariranno e tu tornerai ad essere una nullità, ma il tuo nome resterà scritto nel libro nero dei camerati che hanno una buona memoria». Soddisfazione per l’iniziativa giudiziaria è stata espressa anche dal Pd e dall’Anpi, che con la sua denuncia aveva fatto partire l’inchiesta. Un’indagine che ripercorre tutte le iniziative organizzate da Casapound e sfociate in disordini o episodi di razzismo.

Secondo gli inquirenti, il palazzo è il perno intorno al quale ruota il movimento: i propositi dell’organizzazione vengono ideati al suo interno, così come le strategie che hanno portato a manifestazioni culminate con minacce ed episodi di violenta intolleranza, come quelli andati in scena lo scorso anno nella periferia della Capitale, nei quartieri di Torre Maura e Casal Bruciato. In quell’occasione, i militanti avrebbero animato le proteste per l’arrivo di alcuni rom.
A tutto questo si aggiunge un danno, enorme, per le casse pubbliche, calcolato dalla Guardia di finanza. Nei mesi scorsi la Corte dei Conti ha citato in giudizio 8 dirigenti statali per la mancata riscossione del canone del palazzo occupato: un danno erariale pari a 4,5 milioni di euro.

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