Nel contesto accademico si raccontava spesso l'aneddoto del concorso nel quale Umberto Eco, per mettere in cattedra Paolo Fabbri, l'aveva presa molto alla lontana sottoponendo ai commissari il problema di Socrate, del fatto che il grande filosofo fosse stato conosciuto solo attraverso gli scritti di Platone e fosse stato maestro di oralità mai cristalizzata in un testo emblematico. Da qui partiva la seconda parte del ragionamento secondo cui nessuno più di Socrate avrebbe meritato una cattedra in filosofia e da qui la conclusione secondo cui anche Fabbri doveva essere trattato alla stegua del Socrate della semiotica. La produzione prolifica di Eco ha adombrato ancora di più il genio di un allievo maturo che non aveva reso tangibile la grandezza di un uomo dall’eloquio prezioso e seducente, dall'attitudine umanistica tipica di un intellettuale d'altri tempi.
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Ma il suo profilo era conclamato a livello inernazionale e da generazioni di allievi che erano rimasti affascinati da lui finendo per preferire alla semiotica di Eco, centrata sulla teoria del segno di Charles Peirce e sulla teoria della testualità, quella di Paolo Fabbri formatosi a Parigi presso l'École Pratique des Hautes Études con Roland Barthes e Algirdas Julien Greimas, affatto amato a livello scientifico da Eco, con il quale aveva continuato a collaborare per i seminari dell’ École des hautes études en sciences sociales dal 1984 al 1991. Greimas pensava alla semiotica come un metodo e un linguaggio universale col quale potere descrivere i processi di generazioni e strutturazione del senso e quindi di ogni prodotto di vari domini dall’arte alla comunicazione. Un metodo più utilizzabile, anche con rischi di facile reiterazione e ripetizione, che permise alla svolta socio-semiotica avvenuta grazie all’input di Paolo Fabbri di influenzare l’università italiana più della dottrina di Eco.
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Il legame con Parigi era stato suggellato dalla direzione dell’Istituto Italiano di Cultura dal 1992 al 1996. E nel mentre ha insegnato in numerose università del mondo fondando il Centro di Semiotica di Urbino e terminando la sua carriera allo IUAV di Venezia. Il conflitto sulle interpretazioni e il destino della semiotica, nonché sull’eredità di Eco è stato forse adombrato dalla preponderanza del genio dell’autore del "Trattato di Semiotica Generale" e di "Lector in fabula". Una presenza forte anche nel silenzio che lui stesso ha imposto dopo la sua morte vietando per dieci anni qualsiasi convegno su di lui. Lo stesso Fabbri si era attenuto a questa volontà rimandando tutto “a un mitico 2026” che è di là da venire. Ma forse nel frattempo sarà molto utile per la semiotica ripensarsi ricordando Paolo Fabbri e la sua visione diversa della scienza dei segni e della comunicazione. Ricordando la sua capacità di affabulare, la sua eleganza teorica e oratoria, la sua curiosità di grande e vero umanista, la sua grande capacità di ascolto, anzi la sua vera e propria disciplina di concatenazione dei discorsi e delle pratiche comunicative.
Molti anni fa ci ritrovammo insieme al convegno “Il discorso sulla salute” organizzato a Spoleto da Gianfranco Marrone, tra i semiologi della scuola di Eco che in realtà simpativazzano per le idee di Fabbri e che con lui ha operato la svolta socio-semiotica in Italia. All’ultima sessione, stremati da un densissimo convegno, restammo seduti ad ascoltare in pochi le ultime relazioni. Lui in religioso silenzio rispetto del lavoro degli altri e sempre curioso di snodare e riannodare il filo delle suggestioni e del ragionamento attraverso il dialogo. Forse non sapremo mai quanto Fabbri sia stato presente nelle opere di tanti studiosi, perché non lo sarà per il privilegio di una citazione contestualizzata, ma di uno spirito e di un metodo che pervadeva tutto alla radice e sapeva far brillare ogni tasello prezioso in un mosaico rigoglioso di sfumature.
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