Addio a Giorgio Zecchin, capo della Tipografia del Messaggero: da Milano a Roma con professionalità e ironia

Addio a Giorgio Zecchin, capo della Tipografia, da Milano a Roma con professionalità e ironia
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Domenica 31 Maggio 2020, 01:07 - Ultimo aggiornamento: 6 Giugno, 11:16
Il Messaggero non ha fatto in tempo a piangere Gigi Pasqualetti che ha perso anche Giorgio Zecchin, per decenni colonne della Tipografia del Messaggero in via del Tritone. Giorgio se n’è andato a 72 anni, attorno a lui la moglie Clotilde e i figli Alessia e Claudio: gli amici potranno ricordarlo insieme a loro lunedì alle 10 alla chiesa di San Francesco a Ripa a Trastevere.


Al centro, Giorgio Zecchin, con i colleghi della Tipografia

E ci sarà anche Giorgio, per “vedere di nascosto l’effetto che fa”, perché in lui l’ironia romana si era unita a quella milanese: lui della “sua” Milano non aveva mai perso l’accento né faceva alcunché per nasconderlo. 


Giorgio Zecchin a una manifestazione sindacale

Il risultato era irresistibile: il suo ruolo di capo della Tipografia – era succeduto a Gigi Pasqualetti - lo metteva al riparo da ogni discussione, l’ultima parola era sempre la sua, com’è giusto che fosse data la responsabilità enorme del compito. Però non era lui che ordinava, erano tutti gli altri che gli ubbidivano perché sapevano che aveva ragione: con gli ultimi arrivati, fra i tipografi e i giornalisti, preferiva spendere un minuto in più rispetto a un minuto in meno per spiegare con competenza e pazienza che su certi orari non si poteva sgarrare e che forse si doveva leggere quel titolo o quella dida con maggiore attenzione. Perché? Perché aveva scovato un refuso o una castroneria e con quel suo modo elegante, non mortificante, te lo faceva notare. Prestava la stessa attenzione al direttore e all’ultimo redattore, alla prima pagina e all’ultima di un’edizione locale. Ti spingeva a fare sempre meglio, a osare uno “scontornato” con quella foto, a bilanciare il “corpo” dei titoli: e magari con quei consigli buttava là anche un “Hai letto il tale libro?”, “Ha visto il tale film?”. E non erano mai segnalazioni banali perché Giorgio, laureato in Sociologia e che prima del Messaggero aveva lavorato fino agli anni 90 a Paese Sera, era un lettore onnivoro, con profonda conoscenza della grafica e dell’Arte. E pure sullo Sport diceva la sua.



“Grazie e buon lavoro” era il suo modo di salutarti ed era una festa quando capitava in redazione dopo essere andato in pensione nel 2012. Festa con chi incontrava nei corridoi e ti dispiaceva venire a sapere che era passato al Tritone quando eri di corta. Invece alla festa per il suo ultimo giorno di lavoro c’erano proprio tutti, dal direttore in giù. Gli aveva fatto molto piacere la caricatura-vignetta che gli era stata donata. Ironia e autoironia. Grazie e buon lavoro, Giorgio.

(p.r.b.)
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