La dottrina Franceschini dell'accordo regionali PD-M5S parte dalla Liguria

La dottrina Franceschini dell'accordo regionali PD-M5S parte dalla Liguria
di Mario Ajello
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Venerdì 29 Maggio 2020, 12:36 - Ultimo aggiornamento: 16:54
La dottrina Franceschini ha rimesso in moto tutto. Tra tanti contrasti però. La dottrina del plenipotenziario del Pd, e capodelegazione dem nel governo e ministro della Cultura, ascoltatissimo dal Quirinale dice così: «L’accordo tra Pd e M5S deve sfociare in alleanza permanente». Nelle regioni, che vanno al voto a fine settembre, e poi nelle elezioni politiche nazionali quando saranno e non è detto che saranno nel 2023 ma anche prima. Franceschini da sempre propugna questa teoria, che poi è la stessa del segretario Zingaretti, anche se Nicola non fa più intendere, come faceva prima, che potrebbe essere - come incarnazione del patto di sangue rossogiallo - l’attuale premier Conte il prossimo comune candidato premier. E comunque, la dottrina Franceschini ha avuto come primo effetto pratico la chiusura del patto elettorale per le regionali in Liguria tra dem e grillini. E questo è il primo segnale da gioco politico nello scacchiere post lockdown.

La coalizione di centrosinistra si avvicina all’accordo per le Regionali in Liguria per un candidato unico da contrapporre al governatore uscente Giovanni Toti. Ha preso quota, e si sta per chiudere su questo nome, la candidatura di Ariel Dello Strologo, presidente della comunità ebraica di Genova, a capo del Porto Antico fino all’arrivo dell’attuale giunta Bucci di centrodestra. Il nome di Dello Strologo corrisponderebbe all’identikit di un candidato “istituzionale” in grado di trovare il placet delle 17 liste che compongono una coalizione molto frastagliata: civiche dalle sensibilità diverse, oltre a Pd e Cinque Stelle. Proprio la campagna elettorale ligure si annuncia come il test principale degli alleati di governo. Quando fu fatto in Umbra questo tipo di coalizione, con tanto di abbraccio di Narni alla presenza di Conte tra grillini e dem, andò malissimo. Ma da allora è passata un’èra geologica. Altrove è molto più difficile la coalizione. Nelle Marche, per esempio, il governatore Cerisoli andrà per il Pd alla ricandidatura ma senza M5S. I quali sono spaccati tra di loro: c’è chi vuole la corsa solitaria e chi invece l’allargamento verso il partito di Zingaretti.

In Puglia saranno probabilmente della partita con la sinistra i grillini, anche se lì vige più che la dottrina Franceschini la dottrina Emiliano, che è il dem più grillino al mondo. E sarà pure vero che, passando dalle regionali alle comunali, ma di un Comune che vale quanto una Città-Stato, cioè Roma, nella Capitale la Raggi tenterà il bis senza l’appoggio del Pd e però in questo caso sono già all’opera le trattative per convergere nel secondo turno tutti insieme - M5S e Pd e sinistra varia - su un candidato e dunque l’alleanza che governa il Paese si potrebbe riproporre a Roma in seconda battuta. 
La difficoltà della dottrina Franceschini per le regioni sta in due fattori. C’è una parte del partito che non la vuole affatto, e basti leggere le critiche di Matteo Orfini all’incontro grillo-dem oppure tutti gli scetticismi di Base riformista, comprendente molti ex renziani o renziani in sonno, su questa prospettiva. Per non dire della fiera opposizione di Calenda. Il gruppo Azione non spopola nelle percentuali per ora ma i decimali che prenderà saranno comunque essenziali per la vittoria di un candidato e Calenda ha già detto: «Dove il Pd sarà in alleanza con M5S noi non ci saremo. Per esempio in Puglia. Mentre in Veneto, in Toscana e probabilmente nelle Marche il discorso è aperto su candidati di qualità».

E in Campania? L’irriducibilità grillina ad appoggiare Vincenzo De Luca, che con la gestione dell’emergenza Covid nella sua regione si è riguadagnato a furor di popolo la ricandidatura, sembra incrollabile. Anche se i dem stanno premendo su Roberto Fico perché sblocchi il niet più assoluto. Anche qui, di fronte a un ballottaggio tra De Luca e l’esponente di centrodestra (Caldoro ancora lui) parte dei grillini potrebbero convergere sull’odiato don Vincenzo. Ma questo si vedrà. 
Per ora, una cosa è certa: i partner del governo Conte sono alla ricerca di un blocco elettorale organico. E guarda caso il cantiere comincia a Genova, la città del grillino più dem di tutti: Beppe Grillo. E’ il più sincero nel dire: »alle Regionali M5S non ha mai toccato palla. Vogliamo continuare a perdere per sempre? A me, non va». E così, all’ex leader M5S diventato padre nobile e mai sostituito come guida carismatica, gli piace e assai l’alleanza con il Pd. Finora nelle elezioni regionali, i Cinque Stelle alleati non ne hanno cercati e sempre meno voti (ma il trend è nazionale) hanno trovato. Con altre imminenti elezioni regionali sono adesso, insomma, costretti a decidere se intendono scomparire dalle assemblee regionali circondati da un alone di soffusa purezza, la quale, però, priva di rappresentanza politica molti dei loro attuali e potenziali elettori, oppure formulare con chiarezza una o più proposte alternative. Si è scelta la prima opzione, Dello Strologo con targa grillo-dem, ma se l’alleanza organica dovesse andare male come in Umbria  pregiudicherebbe le nozze nazionali alle politiche. A meno che non si voterà con una nuova legge elettorale, proporzionale pura, che consentirebbe ai due partiti di andare alle urne ognuno per conto proprio. E poi magari allearsi dopo in Parlamento per attuare lì dentro (se i numeri lo consentiranno), e non nelle cabine elettorali, la dottrina Franceschini. 
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