Rieti, coronavirus: «Ho cinque dipendenti
in cassa ma non hanno ancora visto un soldo»

Mauro Roselli
di Giacomo Cavoli
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Domenica 24 Maggio 2020, 00:25 - Ultimo aggiornamento: 14 Febbraio, 22:43
RIETI - Coronavirus. «Ho cinque dipendenti in cassa integrazione ma non hanno ancora visto un soldo». 
Davanti alla statua di piazza Mazzini (foto a destra) dedicata ai Caduti ha posizionato una sagoma di cartone di un uomo con un cappio al collo scrivendo, tra le altre cose, che “dopo la consegna delle mutande, ci è rimasto solo questo”. Così, quasi a sottolineare involontariamente il parallelo tra i caduti della guerra e chi tenta di sopravvivere agli strascichi economici, pesantissimi, della lotta al Covid-19, ieri pomeriggio, a Rieti in piazza Mazzini, il quarto sabato di protesta del movimento nazionale delle mascherine tricolori si è trasformato anche nello spazio di dolore di Mauro Roselli, imprenditore reatino che cerca in fondo al tunnel la speranza per non far morire la sua azienda all’opera da quattro generazioni, megafono di tanti altri suoi colleghi del territorio che versano nelle stesse, drammatiche condizioni.

La storia
Dopo il flash mob del 28 aprile da parte di baristi e ristoratori, Roselli, 62 anni - in queste settimane di crisi post quarantena - è fra i primi a metterci apertamente la faccia da battitore libero. Trasferitosi da Milano a Rieti all’età di 8 anni, quando il papà Domenico tornò a lavorare nella sua Cittaducale, Roselli è un reatino di fatto che non ha mai smesso di far galoppare l’azienda familiare creata dal nonno, specializzata in impiantistica pubblica (curando anche tante strutture provinciali e cittadine di Rieti) e privata: «In queste settimane ho provato a chiedere aiuto ad altri imprenditori o piccoli commercianti della città per far sentire la nostra voce, ma nessuno ha mai mostrato interesse a manifestare: sembra che abbiano tutti paura - racconta Roselli a Il Messaggero - Così mi sono sentito solo e oggi ho trovato almeno un’occasione per dire la mia. Dal 16 marzo, ho cinque operai in cassa integrazione, di cui due con famiglia. Fino ad ora non hanno preso un soldo e adesso, giunti quasi al termine delle nove settimane di cassa, non so’ cosa fare. Ho provato a chiedere il prestito di 25 mila euro garantito dallo Stato, ma ho un rating basso perché le fatture che non mi sono state pagate non mi hanno permesso, a loro volta, di saldare altre spese».

La missiva
Mentre cercava aiuto, Roselli non si è però certo rassegnato ed è riuscito a far pervenire al presidente del Consiglio Giuseppe Conte una lettera scritta di suo pugno, consegnata al premier da Gianluca “Gilu” Bacchetta, il sindaco-ristoratore di Divignano, nel Novarese, sceso prima a piedi e poi in bici fino a Roma percorrendo 645 chilometri per riconsegnare il bonus di 600 euro a Conte: «Lavorando anche al nord conosco bene anche il Novarese - spiega Roselli -  Il fatto che “Gilu” si facesse strada a piedi e in bici mi ha fatto pensare che avesse idee sane e così sono riuscito a intercettarlo all’altezza di Viterbo, consegnandogli la mia lettera. E quando Conte l’ha ricevuta, ha chiesto a “Gilu” se poteva tenerla». Roselli sarebbe stato pronto a rimettere in moto la sua azienda appena possibile, «ma se le aziende non sono in grado di pagare il mio lavoro, come faccio?».
Di desistere, però, non ne vuole neanche sentir parlare: «Sto cercando altri miei colleghi o chiunque sia di Rieti, che abbiano voglia di far sentire la propria voce per andare a protestare a Roma, il prossimo 2 giugno». E sulle scelte estreme di tanti suoi colleghi, giunti a togliersi la vita negli anni della crisi economica e adesso durante le settimane dell’emergenza sanitaria, Roselli ha le idee chiare: «Non condivido i gesti estremi dei miei colleghi, perché suicidarsi vuol dire abbandonare la famiglia nelle mani dello Stato. Nella vita, invece, bisogna lottare». Lui, come tantissimi altri, lo sta senz’altro dimostrando.
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