Atlantia, Autostrade: stop a investimenti dopo il “no” sui prestiti di Stato

Atlantia, Autostrade: stop investimenti dopo il no sui prestiti di Stato
di Umberto Mancini
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Sabato 23 Maggio 2020, 00:53 - Ultimo aggiornamento: 17:36

E’ scontro tra Atlantia e il governo. Il blocco di Stato dei prestiti garantiti chiesti da Autostrade per l’Italia - con il rifiuto di Cdp e Sace a concedere ossigeno finanziario al gruppo in crisi di liquidità - ha fatto scattare la contromossa. La holding dei Benetton ha deciso, in un cda straordinario svoltosi ieri, di lanciare un deciso segnale di allarme invitando la controllata, Aspi appunto, ad utilizzare i 900 milioni appena erogati dalla capogruppo solo per manutenzione e messa in sicurezza della rete fino ad esaurimento. Congelando così tutti gli investimenti programmati.

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Il motivo è legato all’ostracismo delle finanziarie di Stato che non hanno aderito alle richieste di Aspi trincerandosi dietro l’articolo 35 del Milleproroghe, quello che mette a rischio la concessione autostradale e quindi non consente di avere certezze sul futuro della società. 

VIA ALLE AZIONI LEGALI
Il paradosso è che è proprio la norma voluta dal governo ad avere causato il taglio del rating dei titoli di Aspi a livello “spazzatura”. Un giudizio che pesa come un macigno sul fronte dei finanziamenti e che è legato all’esito della trattativa con l’esecutivo sulla concessione. Ora, il fatto che nessun istituto privato conceda prestiti ad Aspi proprio a causa del rating negativo, aggiunto al crollo del traffico autostradale effetto del lockdown (la perdita di ricavi è valutata in 1 miliardo nel 2020) ha ridotto ai minimi termini la cassa mandando in angolo l’azienda che si è rivolta prima a Cdp (dove era stata già attivata una linea di credito da 1,3 miliardi, ora congelata) e poi alla Sace. E questo alla luce dei provvedimenti del governo per sostenere le imprese in crisi.

Come si può intuire, il rifiuto non è solo di tipo procedurale - che, anzi, a rigor di legge non potrebbe essere eccepito - ma anche politico. Basti ricordare che pochi giorni fa Stefano Buffagni, esponente di spicco dei 5Stelle, aveva lanciato l’ennesima fatwa invitando Cdp, Sace e le grandi banche a non concedere un euro ai Benetton perché «colpevoli del crollo del Ponte di Genova». Ciò in barba alla norma che, come detto, non fa distinzione di sorta. 

Atlantia ora chiede chiarezza. Anche perché, nonostante i numerosi solleciti, non ha ancora avuto risposte dall’esecutivo. Questo «contesto - si spiega in una nota - ha determinato e continua a determinare gravi danni all’intero gruppo e genera preoccupazione sul mercato e a tutti gli stakeholder». Nel mirino, come sempre, sono «le modifiche introdotte in modo unilaterale e retroattivo con l’articolo 35 del Milleproroghe che ha stravolto il quadro di riferimento previsto nella Convenzione Unica - punto fermo per investitori e istituti finanziatori - determinato il downgrade del rating a livello “sub investment grade” di Atlantia e Aspi, rendendo particolarmente difficile l’accesso ai mercati finanziari».

La nota stigmatizza il no di Cdp «con la quale nel 2017 era stata definita una linea di finanziamento di cui restano ad oggi inutilizzati 1,3 miliardi», che a fronte della «richiesta di Aspi di inizio aprile per un importo di 200 milioni, non ha ritenuto di dar corso finora ad alcuna erogazione».
 
CONTRO OGNI REGOLA
Il cda esprime poi forte preoccupazione per le dichiarazioni rilasciate mercoledì 20 maggio da un esponente del governo, Buffagni appunto, secondo «le quali alla controllata Aspi dovrebbe essere precluso l’accesso alla garanzia pubblica». «Affermazioni - osserva il cda - che contrastano con lo spirito e il dettato del decreto e basate piuttosto su valutazioni e criteri di natura ampiamente discrezionale e soggettiva verso chi sta dando un importante contributo allo sviluppo infrastrutturale del Paese, mediante un piano di investimenti di 14,5 miliardi, dai rilevanti effetti sull’occupazione diretta e indiretta». 
Infine, l’affondo.

Atlantia, «che deve tutelare 31.000 dipendenti di cui 13.500 in Italia oltre all’indotto, oltre a rispondere ai propri creditori, ai bondholders e alle controparti commerciali, oltre che a più di 40.000 azionisti nazionali e internazionali», non può «non valutare di intraprendere azioni a tutela dei propri interessi». E in attesa degli esiti del confronto con Palazzo Chigi sospende gli investimenti programmati.

Finora, di là di qualche contatto, nessuna risposta ufficiale è arrivata dal governo, nonostante il premier Giuseppe Conte avesse dato pubblicamente la propria disponibilità a valutare delle proposte, che sono state formulate da Aspi il 5 marzo. Il silenzio dell’esecutivo e l’ostracismo sul fronte del credito – proprio mentre si stanno riversando sulle imprese diverse decine di miliardi di fondi pubblici – non sono comprensibili ad analisti e investitori esteri, che iniziano a chiedersi a chi possa giovare questo immobilismo. 

Adesso la preoccupazione che circola con sempre maggiore forza tra analisti e fondi d’investimento è che si stia delineando un disegno per far perdere sempre più valore alla società, stringendola nella morsa dell’inattività, per avviare una nazionalizzazione a poco prezzo e contro ogni regola.
 

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