E' morto Gigi Simoni, il gentiltecnico: l'uomo che non alzava mai la voce

E' morto Gigi Simoni, il gentiltecnico: l'uomo che non alzava mai la voce
di Gabriele De Bari
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Sabato 23 Maggio 2020, 07:30
 E’ morto dopo aver strenuamente lottato un anno contro i postumi di un ictus. Gigi Simoni si è spento tra le braccia della moglie Monica nell’ospedale di Pisa, dove era tornato dopo l’aggravarsi della malattia. Aveva 81 anni. Settanta li ha trascorsi nel calcio. Una vita da protagonista, sempre nel rispetto degli avversari, da signore, con un forte legame per le tante società per le quali ha lavorato. E’ stato tra gli allenatori più amati, grazie alla sua sensibilità, ai modi gentili, alla capacità di porsi nel modo giusto anche nei momenti delicati. Nemmeno i tifosi del Torino riuscirono a “odiarlo” per il discusso passaggio alla Juventus, dopo 3 stagioni in granata.
CALCIATORE
Una carriera longeva colorata di tante maglie e soddisfazioni anche se non riuscì ad affermarsi in bianconero. La Juve, che voleva dal Torino Gigi Meroni, constatata la ferma posizione del presidente Pianelli a tenersi il fuoriclasse naif dai capelli lunghi, decise di ripiegare su un altro Gigi che aveva appena stabilito, con 10 gol, il suo record personale in A. Siamo nel 1967, con la Juve collezionò solo 11 presenze prima di cominciare il lungo girovagare. Centrocampista offensivo, con uno spiccato senso della rete, in A realizzò 32 gol in 187 gare mentre in B le reti furono 62 in 368 partite. In totale 555 presenze con 94 gol. Vinse una Coppa Italia con il Napoli e chiuse nel Genoa nel 1974, all’età di 35 anni. Simoni sfiorò anche la Nazionale quando il ct Fabbri lo convocò per 3 partite in azzurro senza, però, mai farlo giocare.
LO STRANO ESONERO
Ancora più brillante è stata la sua vita da allenatore, un vero giramondo delle panchine: ne ha cambiate 21, quasi sempre con ottimi risultati: ben 7 promozioni in serie A (record assoluto) e una dalla C alla serie B. Una garanzia per quei presidenti che decidevano di affidarsi alle sue idee, alla sua concretezza, alla capacità di scalare la classifica fino al risultato più importante. La sua prima panchina è stata quella del Genoa con il quale ottenne 2 promozioni in A, come con il Pisa. Il club rossoblu l’ha inserito nella sua Hall of Fame. Nel 1993, alla guida della Cremonese conquistò a Wembley, il torneo Anglo-Italiano battendo in finale (3-1) il Derby County. Il club grigiorosso, nel 2003, l’ha eletto allenatore del secolo. Nella Lazio conquistò tutti i tifosi, nella stagione 1985-86, quando riuscì ad evitare che alcuni titolari, capeggiati da Dell’Anno, mettessero in mora il club salvato in B al culmine di una delle stagioni più travagliate nella storia, con Chinaglia presidente. Raggiunse l’apice della carriera e della fama conquistando la Coppa Uefa, il 6 maggio 1998, al Parco dei Principi, battendo proprio la Lazio per 3-0. Il primo successo del presidente Moratti. Con il patron e Ronaldo ebbe un rapporto davvero speciale e sempre all’Inter è legato il grande rimpianto dello scudetto mancato per il famoso rigore non accordato dall’arbitro Ceccarini, nella decisiva sfida del Comunale, anno 1998. Ironia della sorte è morto il giorno in cui l’Inter festeggiava il decennale del Triplete. Ha collezionato 963 panchine. Bolognese di Crevalcore, Gigi Simoni, nella stagione 1998, dopo la vittoria di Parigi, ricevette la “Panchina d’Oro”, il massimo riconoscimento per un tecnico: il paradosso di quel giorno è che fu inaspettatamente esonerato dall’Inter. Divideva la sue giornate tra il campo e la pesca, il suo hobby preferito. Nel momento dei grandi trionfi visse una tragedia che lo segnò per sempre nell’animo: la perdita del figlio Adriano, che morì dopo un incidente di moto e 10 giorni di coma. Un dramma dal quale mai si riprese completamente. Nonostante il dolore continuò a fare calcio con la passione e la professionalità di sempre. Alberto Gilardino, che l’allenatore fece esordire in A nel Duemila, con la maglia del Piacenza, lo ricorda così. «Per me è stato come un padre, un maestro di sport e di vita con il quale era davvero piacevole lavorare. Perdiamo un grande allenatore e un grande uomo».
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