Eh già perché durante il lockdown i giardinieri non hanno potuto curare l’erba. «Da qualche giorno abbiamo riattivato tutte quelle procedure di semina e lampade che hanno consentito all’Olimpico di avere un prato sempre in ottime condizioni». «Lo stadio Olimpico, proprio perché concepito per essere ‘multichannel’ ha un margine di adattabilità ai protocolli, su cui si sta ragionando per far ripartire il pallone, che non è replicabile altrove. Si pensi solo al collegamento che definirei ‘naturale’ tra campo e tribuna. Al punto che, come nel rugby, ospitare le panchine sugli spalti non sarebbe un problema. Senza le scalette degli aerei viste a Lipsia».
Anche la pista d’atletica, da sempre vista come un problema ora si rivela un vantaggio: «Esatto. È un’area di valore inestimabile per il rispetto di distanze, protocolli». E non solo, perché le ampie zone di sfogo dietro le porte, le tante sale ‘tecniche’, le palestre disseminate nella pancia dello stadio del Foro Italico, sembrano fatte apposta per essere lette in controluce, ad esempio, con il protocollo di ripresa sul quale i club stanno ragionando.
«A volte, quando mi ritrovo all’interno dello Stadio Olimpico mi viene in mente una fisarmonica che si allarga e si stringe in funzione di ogni differente spartito. Ad esempio abbiamo quattro spogliatoi e stanze che consentono in tutta sicurezza ai calciatori di cambiarsi restando a distanza. Inoltre anche le squadre, come succede già adesso, possono facilmente avere differenti accessi senza venire a contatto». Quindi l’Olimpico è pronto? «Qualcosa da sistemare c’è. Noi siamo abituati a lavorare e a prepararci studiando soluzioni in corsa ma sempre nell’attesa delle indicazioni del ministero dello Sport. L’Olimpico sarà all’altezza, ancora una volta. Statene certi».
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