Linguaggio sessista, la pm che ha fatto arrestare il suo capo ma veniva chiamata «Bambina Mia»

Linguaggio sessista, la pm che ha fatto arrestare il suo capo ma veniva chiamata «Bambina Mia»
di Franca Giansoldati
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Giovedì 21 Maggio 2020, 09:53

«Bambina mia». Quando il linguaggio resta lo specchio di una cultura patriarcale dura a scomparire, come la tendenza all'eterna tutela maschile e al solito, carsico, sessismo. La strisciante tentazione di comprimere, screditare, sminuire la professionalità delle donne inizia sempre dal linguaggio. Praticamente è il primo blocco alla agognata parità contemplata nella Costituzione. Bambina mia». Veniva chiamata così, con un appellativo apparentemente affettuoso che trasuda un obliquo paternalismo, Silvia Curione, la giovane pm che di recente ha fatto arrestare il responsabile della Procura di Taranto, da oggi ai domiciliari.

Il suo ex capo, Carlo Maria Capristo, già procuratore a Trani, e dal 2016 a Taranto la chiamava in quel modo. L'accusa nei suoi confronti è di corruzione in atti giudiziari risalenti al periodo in cui era in forza presso la Procura di Trani. Una inchiesta difficile in cui non è l’unico coinvolto. Misure cautelari sono state disposte anche nei confronti di Michele Scivittaro, Ispettore di Polizia in servizio presso la Procura di Taranto e degli imprenditori pugliesi Giuseppe, Cosimo e Gaetano Mancazzo.

Dalle indagini è emerso che gli indagati, in concorso e previo accordo tra loro, compivano atti volti ad indurre il Sostituto Procuratore della Repubblica, Silvia Curione, 39enne, a perseguire in sede penale, senza che di fatto ne ricorressero i presupposti una persona che gli stessi imprenditori (risultati i mandati dell’azione delittuosa) avevano denunciato per usura così da poter ottenere indebitamenti i vantaggi economici e i benefici di legge connessi allo status di soggetti usurati. Un piano quasi diabolico. Silvia Curione però è andata dritta per la sua strada e non si è fatta intimidire dal quel “Bambina mia”. 

Ancora una volta questo episodio fa affiorare il linguaggio e l'uso delle parole sbagliate, piene di allusioni e doppi sensi nei confronti delle donne. In un contesto improprio restano lo specchio di stereotipi negativi che persistono nella società italiana dove le statistiche (impietose) mettono in evidenza la difficoltà di giovani professioniste ad affermarsi in molti campi.

Il percorso delle donne si blocca a metà strada e difficilmente, a parità di merito con i loro colleghi, riescono ad arrivare ai vertici. Il loro cammino è generalmente in salita e accidentato. Basta solo vedere quante sono le donne Ceo, quelle che dirigono giornali, le banche, che guidano Procure importanti o quante sono le donne ai vertici dello Stato. 

Nella parità tra uomo e donna, già prima dell'attuale crisi, l'Italia era al 76esimo posto su 153 paesi secondo i dati del Global Gender Report 2020. Probabilmente è possibile che possa retrocedere ancora. Da noi lavora meno di una donna su due (il 48,9%) ma adesso ciò che preoccupa è il peggioramento della qualità del lavoro femminile, come ha ricordato anche l'Istat, elencando precarietà, aumento del part-time involontario. Nei primi tre trimestri del 2019 la percentuale di donne impiegate a tempo determinato ha raggiunto una media del 17,3% (mentre gli uomini l'87%). Malgrado i progressi, problemi persistono: le laureate superano numericamente i laureati, ma guadagnano in media il 16% in meno, le donne rappresentano appena l'8% degli amministratori delegati nelle principali imprese europee.




La doppiezza del linguaggio spesso fa infuriare anche i gruppi femmili che si occupano di violenza di genere. Poco tempo fa persino la senatrice del Pd, Valeria Valente, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta del femminicidio è sbottata davanti all'ennesima pubblicità allusiva. Persino l'Unesco l'anno scorso era intevenuto per chiedere ai governi di prestare attenzione al linguaggio essendo ilp rincipale veicolatore di cultura. Così l'Unesco ha pubblicato un dossier per sensibilizzare i mass media ad affrontare il tema con il linguaggio giusto, in modo equilibrato ed etico. Troppo spesso le discriminazioni o la veicolazione di stereotipi nascono da una narrazione dei fatti scorretta.

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