La Commissione Affari Europei ha prestato molta attenzione al problema, nonostante Avati non abbia indicato la cura: «L’Anac ha chiesto il mio intervento perché, avendo realizzato ben 50 opere fra cinema e televisione, da autore prolifico subisco il problema più di altri». Il caso è sorto con l’ultimo suo film, "Il Signor Diavolo": dopo essere stato illegalmente inserito su YouTube, a seguito della denuncia di Avati è stato tolto, per poi ricomparire dopo 3 settimane: «Il fenomeno può ripetersi all’infinito, in mancanza di un regolamento che sanzioni gli abusi. In Rete si possono trovare anche i miei primi film tipo "La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone", "Bordella" e "Regalo di Natale": alcuni non sono neanche stati distribuiti in home video. Pure "Thomas e gli indemoniati", la mia opera seconda che neanche io possiedo più!».
Secondo Avati «in periodo di pandemia i furti sono aumentati perché, non potendoci più relazionare con il prossimo, il nostro principale interlocutore è diventato lo schermo»; in più, oltre al danno economico, «la violazione del copyright ne genera uno altrettanto grave, quello artistico, perché le copie piratate sono sempre di pessima qualità». Affrontando il tema della gratuità o meno della cultura, secondo Avati «l'accettazione passiva è la cosa peggiore, come se le maestranze di un film non avessero delle famiglie da mantenere. Oggi più che mai, visto che il cinema è fermo: io, ad esempio, dovevo iniziare a girare il 23 marzo a Cinecittà, ma tutto è stato bloccato perché i film non si fanno con le mascherine».
Quanto alle motivazioni della pirateria digitale, Avati sottolinea che chi mette indebitamente dei film in Rete non ne trae guadagno, lo fa solo per un insano gusto di condividere: «Sembra una specie di vendetta. Molte persone credono che lavorare nel mondo del cinema sia un tale privilegio che tutti noi dobbiamo in qualche modo pagarlo, senza conoscere la fatica e le rinunce che vengono fatte per realizzare un film».
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