Vittorio Emanuele Parsi
Vittorio Emanuele Parsi

Burocrazia, la zavorra che pregiudica la ripartenza

di Vittorio Emanuele Parsi
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Giovedì 14 Maggio 2020, 23:57 - Ultimo aggiornamento: 18 Maggio, 14:42
Il voto che i neozelandesi assegnano alla premier Jacinda Ardern per la gestione dell’emergenza Covid-19 è 7,9. Una conferma delle qualità della signora primo ministro, che lo scorso anno si era già messa in luce per la fermezza unita all’empatia dimostrate in occasione della strage della moschea di Christchurh, opera di un suprematista bianco arrivato dall’Australia. La sufficienza (6) per Angela Merkel e la quasi sufficienza per Boris Johnson (5,8) e Giuseppe Conte (5,5). Mentre Emmanuel Macron, ex enfant prodige della politica europea, riceve una solenne bocciatura, rimediando un imbarazzante 4,1.

Sono i risultati di un sondaggio condotto in diversi Paesi dall’istituto di ricerca francese Ipsos in collaborazione con la parigina Science Po. Il rapporto fornisce poi tutta una serie di altre informazioni sugli umori degli intervistati, tra i quali spicca il giudizio tendenzialmente negativo espresso dagli europei sull’adeguatezza delle misure messe in campo dall’Unione.
Un giudizio che è però associato a una richiesta di maggior coordinamento internazionale nella lotta alla pandemia e alle sue conseguenze economiche. Un altro sondaggio, realizzato dall’Australia Institute, attesta che il 62% degli italiani ha fiducia nell’operato del governo (un dato allineato con quello dei diversi Paesi campionati), mentre sorprendentemente siamo quelli che si fidano meno dei consigli di amici e parenti circa l’atteggiamento da tenere rispetto a Covid-19. Ma soprattutto, l’approvazione nei confronti delle misure economiche governative scende a un misero 33%: con uno tonfo di 29 punti rispetto alla fiducia riscossa dal governo, lo scarto maggiore tra tutti i Paesi censiti.

Come spiegare una differenza tanto cospicua? Credo che la risposta vada individuata nella consapevolezza della mediocrità e complessiva inaffidabilità della burocrazia pubblica che gli italiani conoscono fin troppo bene. A scanso di equivoci e dell’individuazione di facili capri espiatori, credo che una precisazione sia doverosa: non stiamo mettendo in discussione né l’abnegazione né il livello di qualità professionali e tecniche degli impiegati della pubblica amministrazione. Ma semmai il fatto che il giacimento delle loro competenze e capacità vada e essere sprecato, perduto, producendo in loro una frustrazione che si somma a quella degli utenti. Lo ha attestato lo stesso ministro dell’Economia Gualtieri nell’intervista rilasciata al nostro giornale sabato scorso: quando ha sottolineato come la trappola burocratica abbia reso fin qui molto poco operativi i provvedimenti varati dall’esecutivo dall’inizio della pandemia.
Vedremo cosa succederà con il decreto approvato mercoledì dal Consiglio dei ministri, ma il timore è che anch’esso possa vedere la propria incisività sminuita e dispersa in mille rivoli. E del resto sappiamo come l’erogazione dei vari sussidi e l’applicazione delle diverse misure fin qui adottate abbiano conosciuto e stiano conoscendo grandi difficoltà e ritardi proprio nella fase di implementazione.

La burocrazia è quasi un topos dell’eterno racconto dell’Italia che non funziona come vorremmo e come ci meriteremmo, inscalfibile nei cambiamenti di regime, dalla monarchia liberale al fascismo alla repubblica. Eppure proprio questa narrazione rischia di farci dimenticare una cosa molto semplice, persino ovvia: che la burocrazia è la cinghia di trasmissione tra politica e società. Di più: essa è ciò che dà concretezza all’atto politico, quello che consente di trasformare la decisione sovrana in azione, e quindi di incidere sulla realtà. 
La straordinarietà della situazione legata alla pandemia, prima o poi, passerà, come l’eccezionalità delle decisioni e delle procedure con cui vengono adottate. Ma il deficit burocratico italiano resterà, se non interverremo radicalmente per ridurlo e poi annullarlo. Dovremmo chiederci quanto esso abbia contribuito a rendere così tremendo l’impatto del virus in Italia e quanto potrà rallentare la ripresa, depotenziando la magnitudine delle misure adottate e delle risorse mobilitate.

Paralisi della burocrazia, litigiosità della maggioranza e confusione di poteri tra centro e periferia: sappiamo che questi medesimi fattori potrebbero rendere la fase 2 molto impervia, con conseguenze devastanti per il futuro del Paese. Non occorre essere “statalisti” per riconoscere che l’azione pubblica sarà decisiva per consentire la ripresa (il 60% degli intervistati assegna allo Stato un ruolo chiave nel sostegno all’economia).

Non occorre essere “liberisti” per capire che la qualità della burocrazia giocherà un ruolo ancora maggiore nel prossimo futuro per fare la differenza. Fuori dai pregiudizi ideologici e dai furori da talk show: come rendere più efficace l’azione della burocrazia è la vera questione che riguarda tutti, maggioranza e opposizione, governo e parti sociali, impiegati pubblici e utenti.
 
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