Joyce Carol Oates: «Nel mio nuovo romanzo, la ferocia dei sentimenti nell'America profonda»

Joyce Carol Oates: «Nel mio nuovo romanzo, la ferocia dei sentimenti nell'America profonda»
di Riccardo De Palo
5 Minuti di Lettura
Martedì 12 Maggio 2020, 15:19 - Ultimo aggiornamento: 14 Maggio, 17:30

Il nuovo libro di Joyce Carol Oates, “Ho fatto la spia” (dal 14 maggio in libreria per La nave di Teseo, 416 pagine, 20 euro) è un potente romanzo ambientato in una piccola cittadina nella regione del Niagara, mai così torbida e densa di intrighi. La giovane protagonista è la figlia di genitori cattolici e irlandesi, la preferita del padre, testimone dell’uccisione di un compagno di scuola afroamericano. Violet deve affrontare  un grave caso di coscienza. L’autrice, forse la più prolifica tra le scrittrici contemporanee,  dice di non avere inventato nulla di nuovo: «I crimini a sfondo razziale sono una tragica costante della vita americana, aumentati negli anni recenti, sin dalla elezione di Trump a opera di una minoranza di elettori. Mentre alcune parti del Paese - le aree urbane etnicamente miste e più scolarizzate - sono sempre più vicine ai cittadini non bianchi, altre regioni - il Sud rurale, il Midwest, e il Sud Ovest in particolare - rimangono incatenate alla superstizione e alla discriminazione. Eventi efferati come il delitto razzista del mio romanzo sono molto comuni negli Stati Uniti, e mi rattrista molto constatarlo. Tramite video registrati di nascosto con l’iPhone che diventano virali su Twitter, come è successo di recente,  tutto il mondo può assistere a crimini del genere, e c’è solo una flebile speranza che la giustizia faccia il suo corso. Peraltro, si tratta spesso di delitti perpetrati dalle stesse forze dell’ordine»

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Anche il tasso di letalità del coronavirus sembra essere molto più alto, nel caso di pazienti afroamericani. Succede perché molti di loro non possono permettersi cure appropriate?
«Il Covid-19 sta flagellando le comunità “povere” - in generale. Questi americani che non possono permettersi di restare barricati in casa sono più vulnerabili. E la follia di un sistema sanitario dominato da ricchissime compagnie di assicurazioni, invece che da un sistema pubblico per tutti, è tragicamente evidente».

La sua protagonista, sorella minore degli assassini, è alle prese con una grave crisi di coscienza.
«Abbiamo una “moralità superiore”, nelle ristrettezze delle mura domestiche. Violet lo capisce istintivamente, ma si sente sempre afflitta e in colpa per avere rivelato il coinvolgimento dei suoi fratelli nel delitto».

Quanto è importante l’ambientazione, nei suoi romanzi? Le cascate del Niagara sono percepite come una magnifica destinazione turistica. Ma lo scenario che ci mostra è assai differente. 
«Le cascate del Niagara sono una meravigliosa bellezza naturale, le ho visitate molte volte, e sono sempre rimasta incantata. Tuttavia, la città omonima è economicamente depressa, lo è stata per molti anni. “Ho fatto la spia” è comunque ambientata nella zona di South Niagara, che è una città per molti aspetti diversa».



Anche lei è in quarantena? 
«Tutti i miei amici e colleghi dell’area di Princeton sono in lockdown, ormai da nove settimane. Per fortuna, la maggior parte di noi può uscire per passeggiare, correre, andare in bicicletta, lavorare alle piante in giardino. In fondo, non è troppo oneroso».

Lei è una delle scrittrici più produttive al mondo, ma anche una delle più popolari. Cos’è la letteratura per lei?
La letteratura è il sangue della vita delle civiltà - la sua memoria essenziale, la sua immaginazione. Ogni arte è preziosa, ma solo la parola scritta può preservare tutti gli aspetti della vita, da quelli oggettivi e  storici all’intensa, lirica soggettività della poesia».

A quale dei suoi tantissimi libri si sente più legata?
«Tra i miei preferiti c’è sicuramente “Blond”, che è anche quello che ha ricevuto la maggiore attenzione, tra tutti».

Quali autori l’hanno maggiormente influenzata? 
«Certamente Lewis Carroll, Herman Melville, Franz Kafka, James Joyce, William Faulkner— e molti altri».

Uno dei suoi romanzi più potenti è “La figlia dello straniero”. Anche perché racconta una sua vicenda intima, personale. Non trova? 
«"La figlia dello straniero" è molto vicina al mio cuore. Si tratta della storia (romanzata) della mia amata nonna, che nascose a tutti di provenire da una famiglia ebraica che aveva dovuto patire molte avversità. Io non compaio nel romanzo, ma mia nonna è il modello eroico di una giovane donna, e l’ambientazione è l’upstate di New York in cui sono cresciuta».

Il suo stile è molto efficace nel raccontare i sentimenti e i conflitti interiori del cuore umano: è questo il suo obiettivo, quando scrive? 
«Sì, spero di permettere ai miei lettori di “vedere”—“ascoltare”—“sentire”— la realtà delle esperienze dei miei personaggi. Non voglio raccontare queste esperienze, voglio che il pubblico le condivida come se fossero le loro».

Immagino che stia già lavorando a qualche nuova storia. Ce ne vuole parlare?
«Il mio prossimo romanzo si intitola “Night.

Sleep. Death. The Stars” (“Notte. Sonno. Morte. Le stelle”, negli Usa uscirà il prossimo 2 giugno) — si tratta della storia di una vedova che riprende il controllo della propria vita, distrutta dopo la morte del marito, e che diventa abbastanza forte da innamorarsi di nuovo, e risposarsi. Un’impresa che sottende grandi rischi poiché, inevitabilmente, potrebbe perdere anche il suo secondo marito».

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