Coronavirus Roma, inchiesta case di riposo, ci sono altre due vittime

Isolata la Clinica Latina, Rsa per anziani, Roma
di Alessia Marani e Giuseppe Scarpa
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Sabato 9 Maggio 2020, 10:35

L’inchiesta romana sulle case di riposo e i centri di riabilitazione dove sono esplosi cluster di Covid-19 tra pazienti e operatori si allarga ancora. Lunedì è morto al policlinico Umberto I un dipendente della casa di riposo “Giovanni XXIII” di via Galeffi all’Ardeatino, è qui che si registrò il primo focolaio di comunità della Capitale. Ieri mattina, invece, si è spenta allo Spallanzani Giovanna Palombi, 88 anni, una degli anziani provenienti dalla Clinica Latina di via Vulci. Il figlio Mauro che aveva attivato i controlli della Asl nella struttura allarmato per le condizioni della mamma, ora invoca «giustizia».

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Salgono, dunque, a tre i decessi sospetti nella Giovanni XXIII che venne man mano svuotata e commissariata dalla Asl Roma 2 a fine marzo. I casi precedenti riguardavano un’anziana e un 82enne che doveva essere trasferito ma che nel via vai delle ambulanze, rimase in una stanza morente, senza che nessuno se ne accorgesse. La figlia corse a sporgere denuncia ai poliziotti del commissariato Colombo, coordinati dalla dottoressa Isea Ambroselli. 

Ora, però, la morte del dipendente aggiunge un altro elemento all’inchiesta che dovrà così accertare se nella casa di riposo, oltre a rispettare le disposizioni anti-Covid emanate dalla Sanità regionale, siano state rispettate anche tutte le norme di tutela sul lavoro. Il fascicolo è in mano al procuratore aggiunto Nunzia D’Elia che indaga anche su Villa Fulvia, la clinica di via Appia Nuova. Qui e sull’Ardeatina, in tutto, i contagiati da coronavirus sono in 103, cinque in totale i decessi. 

Tuttavia c’è un elemento che rende complicato lo sviluppo dell’inchiesta. Oltre i 5 decessi, causati dal Covid-19, come è emerso dalle autopsie, ci sono tutta una serie di altri anziani deceduti che sono stati subito dopo cremati. Ebbene questo non è un dettaglio di poco conto per chi indaga. Poiché accertare la causa della “scomparsa” per Coronavirus è determinante per la scelta del reato con cui procedere. Epidemia colposa se il numero di decessi e contagi è vasto un meno “grave” omicidio colposo se si tratta di casi sporadici. 
Mauro Bucci stamani saluterà per l’ultima volta la sua mamma nel piazzale della parrocchia di Primavalle, poi anche lei sarà cremata. Un funerale veloce, con la benedizione impartita dal parroco in guanti e mascherina, quindici persone al massimo ben distanti tra di loro e poi l’unica concessione di un passaggio del carro funebre sulla via di casa per un saluto dalla finestra dalle vecchiette che le volevano bene. Giovanna Paolombi era stata ricoverata dal 30 marzo all’ospedale San Filippo Neri per una crisi ipertensiva, poi dimessa dopo due tamponi negativi il 6 aprile e trasferita alla Clinica di Latina per la riabilitazione. 

«Ho acconsentito a che mia madre andasse lì perché fosse curata per bene e riabilitata con le giuste cure prima di tornare a casa - racconta in lacrime Mauro - invece me l’hanno ammazzata, me l’hanno fatta morire di fame e ammalare di Covid». Mauro si era accorto che qualcosa non stava andando per il verso giusto in via Vulci. «Dopo venti giorni di ricovero non mi hanno mai dato indietro i suoi indumenti per il cambio, dopo tre giorni mi avevano chiamato per dirmi che stava morendo, nelle uniche due telefonate con lei, mamma mi implorava di portarla via e mi diceva che aveva fame, che non mangiava», racconta Mauro che martedì ha preso appuntamento con l’avvocato. «Il 30 aprile mia moglie ha telefonato al 112 per chiedere l’intervento della Asl nella clinica, per fare andare i dottori a verificare in che condizioni fossero i degenti - dice - adesso io denuncerò la clinica formalmente alle autorità per la morte di mia madre». Sulla Clinica Latina è in corso un audit della Regione. Da una prima verifica degli ispettori della Asl erano risultate «inadempienze della struttura nel rispetto dell’ordinanza regionale».

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