James Ferragamo e la moda dopo il Covid: «Basta ostentare, ora impariamo a fare squadra»

James Ferragamo e la moda dopo il Covid: «Basta ostentare, ora impariamo a fare squadra»
di Anna Franco
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Venerdì 8 Maggio 2020, 08:25 - Ultimo aggiornamento: 09:21

James Ferragamo è una variegata successione di più caratteri. Nato a Firenze 49 anni fa, volto da attore americano, piuttosto schivo, porta il cognome di una delle più famose casate di moda. Il nome lo deve alla mamma inglese che, forse, lo ha ispirato nella decisione di lavorare per un periodo negli Stati Uniti. Porta completi impeccabili, ma appena può si veste da sport per lunghe sessioni di triathlon. Mixa la passione per lo stile, che gli deriva dal nonno Salvatore, con il pragmatismo del ruolo che ricopre in azienda, ovvero vice presidente e direttore brand e prodotto della Salvatore Ferragamo spa.

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Come e dove sta vivendo questo periodo?
«Con la mia famiglia, a Firenze, e la mia routine è piena di conference call con tutti i manager e i fornitori per organizzare le attività dei prossimi mesi».
Cosa ha (ri)scoperto?
«Che non bisogna dare le cose per scontate, che non siamo invincibili se basta un virus per modificare così tanto la nostra vita. Ho riscoperto un forte senso di appartenenza alla mia famiglia e una grande voglia di fare squadra nel lavoro».
Cosa le manca?
«La libertà di movimento, il poter incontrare gli altri».
Come ne usciremo: abbruttiti o con la voglia di rinascere?
«Con tantissima voglia di fare e di rimetterci al lavoro. Credo molto nella capacità di adattamento e nello spirito di sopravvivenza dell'essere umano; penso che le situazioni estreme siano quelle che ci mettono nella condizione di tirar fuori il meglio di noi stessi. Per noi italiani il fare squadra non è proprio lo sport preferito, ma c'è bisogno che tutti fin da subito diano il meglio».
Ci sarà una nuova estetica?
«Sicuramente gli stili di vita si modificheranno e la moda dovrà adeguarsi a nuove abitudini e a nuovi gusti. Si punterà sulla qualità, adeguandola a un'estetica più confortevole, sobria e con una vena di leggerezza».
I consumi muteranno?
«Scoprire di essere vulnerabili ci ha cambiati. Abbiamo voglia di tornare a una nuova normalità, con attenzione alla responsabilità sociale e al rispetto dell'ambiente. Alcuni fenomeni legati all'ostentazione potrebbero scomparire o alleggerirsi. Insomma, credo che il dopo sarà una grande sfida per tutti e che la voglia di bello sarà una delle motivazioni che guiderà la rinascita».
Voi su cosa punterete?
«Su qualità ed estetica dei prodotti, con collezioni forse meno articolate e focalizzate su pochi pezzi chiave. Si perseguirà una razionalizzazione delle collezioni».
Pensa, quindi, anche lei, come molti nella moda, che sia importante la semplificazione?
«Era un percorso che, per ragioni diverse, era già nell'aria. Ora c'è stata questa brusca interruzione e probabilmente si ripartirà su lunghezze d'onda diverse, con tempistiche, metodologie e processi differenti. La categoria degli accessori potrebbe avere un'evoluzione positiva».
I negozi in Italia dovrebbero riaprire il 18 maggio. Come vi state organizzando?
«Abbiamo già maturato una buona esperienza nelle ultime settimane con gli store cinesi dove abbiamo provveduto alla sanificazione degli ambienti, a predisporre l'uso di dispositivi di protezione personale per i nostri dipendenti, al distanziamento fra i clienti. Certamente tutto questo aumenta i costi di gestione, considerando che il flusso di clienti a metro quadro sarà ridotto rispetto al passato».
E cosa pensa dell'ipotesi di sanificare i capi dopo l'eventuale prova?
«Mi sembra un'idea un po' eccessiva».
Come avete organizzato la riapertura dell'azienda?
«Gradualmente e insieme alle organizzazioni sindacali per rendere il lavoro sicuro. I magazzini e la logistica sono operativi a regime contingentato da due settimane».
Il virtuale può essere una soluzione?
«Nei prossimi 6 mesi lo showroom virtuale potrebbe rappresentare una soluzione di transizione. Lo abbiamo usato per la collezione dell'ultimo fashion show: in 48 ore lo abbiamo formalizzato e finalizzato per tutti i mercati, visto che i primi casi di coronavirus a Milano si sono verificati a ridosso della settimana della moda. Abbiamo, inoltre, rinnovato il sito per dare un'esperienza immersiva e personalizzata al cliente. L'importante essere flessibili».
C'è una calzatura dell'archivio che la fa pensare con speranza al futuro?
«Il sandalo con la zeppa colorata Rainbow, ideato da mio nonno appositamente per Judy Garland. Un nome simbolico, che è anche auspicio di ripresa e serenità».
 

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