Lockdown, niente baby boom. Difficoltà economiche e paura del virus: 8 coppie su 10 rinunciano a fare figli

Lockdown, niente baby boom. Difficoltà economiche e paura del virus: 8 coppie su 10 rinunciano a fare figli
di Alessandra Spinelli
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Venerdì 8 Maggio 2020, 10:32 - Ultimo aggiornamento: 14 Febbraio, 18:04

Ciò che accadde è diventato leggenda. Nella notte tra il 9 e il 10 novembre del 1965 saltò la luce in una parte del Canada e sulla costa nordest degli Stati Uniti, così come accadde a New York anche il 17 luglio del 1977 e in Germania nel novembre del 2005 a Muenster e dintorni: si disse che dopo quelle notti si ebbe un’impennata di nascite. Quante, non si sa. L’unico dato certo, al di là delle storie e delle speranze, arriva invece dalla Colombia: furono 27 mila i nuovi nati, con un incremento del 4 per cento, nel 1992 sempre nove mesi dopo un lungo blackout elettrico.

Ora sono molti che ripongono speranze di un boom demografico dopo questi due mesi di “buio sociale” che hanno costretto in casa, per la pandemia da Covid-19, milioni di persone in tutto il mondo. La denatalità, infatti, è un problema mondiale anche se in Italia è particolarmente grave: il record negativo lo abbiamo raggiunto lo scorso anno con 435 mila nuovi nati, il tasso più basso di tutta l’Unione Europea.

Ma a fare la prima doccia fredda ci aveva pensato l’Istat che in audizione parlamentare sul Def, alla fine di aprile, ha ipotizzato un ben più buio futuro: i 428 mila neonati che si erano ipotizzati per il 2020 alle condizioni pre-Covid-19, dovrebbero scendere a circa 426 mila nel bilancio finale, per poi però ridursi a 396 mila, nel caso più sfavorevole, nel 2021. Un orizzonte terrificante visto che c’è il superamento al ribasso del «confine simbolico» dei 400 mila nati annui. D’altra parte tra le coppie italiane sembrano restie a pianificare un figlio in tempo di pandemia, oltre 8 su 10 (quasi l’82%) hanno manifestato di essere contrarie a una scelta del genere in questo periodo incerto. Lo rivela una indagine su quasi 1500 individui di età tra i 18 e i 46 anni (944 donne e 538 uomini), intervistati online, tra il 23 e il 29 marzo, i cui risultati sono apparsi sul Journal of Psychosomatic Obstetrics and Gynecology. Diretto da Elisabetta Micelli, lo studio è stato condotto presso l’Università di Firenze, per verificare l’idea supposta da tanti, secondo cui la quarantena avrebbe favorito un boom di nascite.

La ricerca è stata condotta da un gruppo di ginecologi, guidato dalla stessa Micelli e da Maria Elisabetta Coccia, e di urologi (Marco Carini, Alessandro Natali, Gianmartin Cito, Andrea Cocci, Andrea Minervini e Giorgio Ivan Russo) delle Università di Firenze e Catania. Ma c’è anche la firma della sessuologa Gaia Polloni. Lo studio è nato proprio per valutare l’impatto della pandemia sul desiderio di genitorialità:  smonta del tutto la speranza che la lunga reclusione forzata abbia rappresentato il prodromo di un aumento delle nascite. E c’è un dato ancora più sconfortante: delle 269 persone che stavano pianificando una gravidanza prima dello scoppio dell’epidemia, ben oltre un terzo ha dichiarato di aver abbandonato questo piano.



I motivi sono molteplici: in primis la paura di dover fronteggiare difficoltà economiche (per il 58%), ma anche la paura di problemi in gravidanza connessi con la malattia Covid (58%). «L’impatto della quarantena sulla percezione degli individui della loro stabilità e serenità è allarmante - sottolinea Micelli- Nel nostro campione la maggioranza dei partecipanti riferiva un benessere mentale significativamente più alto prima della pandemia, mentre i punteggi su questo fronte sono notevolmente diminuiti nel periodo della pandemia». Non solo: oltre il 40% degli intervistati si è detto preoccupato dal punto di vista economico. Proprio queste paure hanno portato coloro che stavano cercando una gravidanza a cambiare idea nel 58% dei casi. A questo si aggiunga poi la chiusura e lo stop dei centri di procreazione assistita:tenendo conto che ogni mese di inattività determina una mancata esecuzione in Italia di 1.500 - 8.000 trattamenti, con una perdita potenziale di 1.500-1.800 bambini non nati.

D’altra parte se tutto è partito dalla Cina, sarà bene rivolgere lo sguardo e capire cosa sta accadendo: altro che baby boom, c’è stato un boom di divorzi . «L’amore e l’eros in gabbia non sono certo una garanzia di benessere», conferma lo psicologo psicanalista Giuseppe Maiolo. Il lockdown - aggiunge - «è un’esperienza che ha messo a dura prova tutti, anche le coppie più collaudate». Senza contare poi che l’emergenza coronavirus ha cambiato anche le procedure per la separazione consensuale tra i coniugi: a Torino adesso basta appena una mail.



Eppure mentre c’è questo orizzonte a tinte fosche l’Unicef ricorda che «il numero stimato di bambini che nasceranno sotto l’ombra della pandemia di Covid-19 è di 116 milioni. Si prevede che questi bambini nasceranno entro 40 settimane da quando il virus - che attualmente sta mettendo a dura prova i sistemi sanitari e le catene di approvvigionamento medico in tutto il mondo - è stato riconosciuto come pandemia l’11 marzo».

Lo ha detto il presidente dell’Unicef Italia Francesco Samengo. I Paesi con il maggior numero di nascite previste nei 9 mesi dalla dichiarazione della pandemia sono: India (20,1 milioni), Cina (13,5 milioni), Nigeria (6,4 milioni), Pakistan (5 milioni) e Indonesia (4 milioni). La maggior parte di questi Paesi aveva alti tassi di mortalità neonatale anche prima della pandemia e potrebbe vedere questi livelli aumentare con gli effetti del Covid-19. Anche i Paesi più ricchi sono colpiti da questa crisi. Negli Stati Uniti, sesto Paese per numero di nascite previste, si prevede che tra l’11 marzo e il 16 dicembre nasceranno oltre 3,3 milioni di bambini. A New York, le autorità stanno cercando centri di parto alternativi, poiché molte donne in stato di gravidanza sono preoccupate di partorire negli ospedali. «In Italia si prevede un numero di nascite di circa 365.000. Tra questi, diversi bambini nasceranno negli ospedali riconosciuti dall’Unicef e dall’Oms “Amici dei bambini”: soltanto nel 2018, sono nati in questi ospedali oltre 31.500 bambini, più del 7% dei nati in Italia su un totale di 449.000.

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