Riccardo De Palo
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di Riccardo De Palo

Rileggere Chatwin, principe dei vagabondi, a ottant'anni dalla nascita

Rileggere Chatwin, principe dei vagabondi, a ottant'anni dalla nascita
di Riccardo De Palo
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Domenica 26 Aprile 2020, 13:41 - Ultimo aggiornamento: 18:10
Per Bruce Chatwin la vita è «un viaggio da fare a piedi»; poiché «la vera casa di un uomo è la strada». Quanti chilometri avrà fatto, nella sua breve esistenza, il nomade scrittore? Se fosse stato vivo, il prossimo 13 maggio avrebbe compiuto ottant'anni. Se non avesse reso l'anima prematuramente, per colpa dell'Aids, a soli 48 anni, avrebbe ripetuto altre mille volte il giro del globo. Ci sono tanti grandissimi autori di viaggio, da Tiziano Terzani a Ryszard Kapuciski; ma Chatwin è un mito assoluto, un inarrivabile vagabondo del Dharma, una rockstar del taccuino. Da rileggere con gusto, ora che i viaggi sembrano un sogno lontano.

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La leggenda del santo camminatore inizia a Sheffield, in Inghilterra: è il figlio irrequieto di un ufficiale di Marina; e ricorda la sua infanzia come un continuo errare da una parte all'altra del Regno Unito («Devo a mia madre il nomadismo»). Inizia a studiare architettura; ma l'università gli va stretta, la abbandona. A Londra, lavora per Sotheby's, ad appena diciott'anni. Potrebbe fare carriera, in breve tempo è uno dei più ricercati esperti d'arte; e alla casa d'aste incontra colei che diventerà sua moglie, l'americana Elizabeth. Ma il rischio di diventare uno come gli altri è grande. «Temo l'inverno perché è la stagione del comfort», scriveva un poeta che gli assomigliava molto, Arthur Rimbaud.

Chatwin si dimette da Sotheby's e si trasferisce a Edimburgo, la città di Stevenson: vuole diventare un archeologo. Pochi anni dopo, lascia di nuovo gli studi, per cominciare a collaborare al Sunday Times Magazine. La scrittura è una rivelazione; finalmente Chatwin può dare liberamente sfogo alla sua passione: i viaggi. Esplora l'Afghanistan, la Russia, il Perù, compie scorribande in Africa; nel 1974 compie il primo viaggio in Patagonia: la terra alla fine del mondo gli frutta il suo primo libro; e coloro che lui chiamava, non senza disprezzo, scrittori «stanziali», urlano al capolavoro. E pensare che quel libro era iniziato contemplando «un pezzo di brontosauro», custodito dentro un armadietto nella stanza di sua nonna.

Il suo stile è personalissimo: un insieme di reportage, biografia vera e romanzata, analisi antropologica, riflessione interiore. Nel 1980 scrive Il vicerè di Ouidah, e per farlo (come i migliori giornalisti) consuma le suole delle scarpe: si reca in un vecchio villaggio africano, sulle tracce degli antichi traffici di schiavi, e poi a Bahia. Werner Herzog girò con Klaus Kinski Cobra Verde, ispirandosi proprio a questo romanzo.

Uno dei libri più straordinari di Chatwin è The Songlines (Le vie dei canti). Il viaggiatore inglese si spinge nei recessi più remoti dell'outback australiano, sulle tracce, appunto, delle vie dei canti, o piste del sogno, impronte degli antenati. E scopre un mondo magico, in cui la melodia diventa una mappa che guida i passi dei nomadi, che li aiuta a orientarsi; il viaggio pare una questione metafisica: «La musica è una banca dati per ritrovare la propria strada nel mondo».

Per gli autori «itineranti», come lui, «il domicilio fa tutt'uno con il proverbiale blocco dello scrittore». Salman Rushdie definì la sua mente una delle più colte e brillanti capitate nel mercato editoriale.
Quando capì che gli restavano pochi mesi di vita, si ritirò a Nizza, con l'amata Elizabeth. Aveva tenuto nascosto il suo male fino all'ultimo, così come la sua bisessualità: diceva, a seconda delle volte, di avere contratto una malattia da un pipistrello, o di avere un'infezione alla pelle provocata da un fungo. Ormai confinato su una sedia a rotelle, chiamò Herzog, chiedendogli di poter vedere il suo ultimo film.

Il regista gli aveva chiesto anni prima di scrivere con lui Dove sognano le formiche verdi, ma aveva ricevuto un rifiuto. Si erano incontrati a Melbourne. Lui aveva appena finito di girare Fitzcarraldo, ed era - ha ricordato Chatwin - «ascetico, con un paio di logori pantaloni militari e una maglietta che lasciava vedere il teschio ridente tatuato su una spalla».

Come dono d'addio, Chatwin regalò a Herzog lo zaino che aveva portato con sé, nei suoi viaggi intorno al mondo. Pochi mesi dopo morì, non lontano dal villaggio dove un'altra anima in pena, Vincent Van Gogh, si era tolto la vita. Fedele al suo amico fino all'ultimo, il regista decise di tornare sulle sue orme, con quello stesso zaino in spalla: il risultato è il film Nomad, presentato all'ultima Festa del cinema di Roma. L'estremo omaggio al principe dei vagabondi.



 
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