Unorthodox, Deborah Feldman-Esty: «Così ho combattuto per rinascere libera» La serie cult dopo il bestseller

Unorthodox, Deborah Feldman-Esty: «Così ho combattuto per rinascere libera» La serie cult dopo il bestseller
di Francesco Musolino
5 Minuti di Lettura
Domenica 26 Aprile 2020, 16:01 - Ultimo aggiornamento: 14 Febbraio, 14:39
Esiste davvero la normalità? Cosa sareste disposti a fare per conquistare la libertà? Deborah Feldman è cresciuta nella comunità ebraica chassidica ultra-ortodossa di Satmar, nel distretto di Williamsburg, a New York. Ha vissuto con i nonni la madre era fuggita, il padre era instabile in casa si parlava solo yiddish, non si poteva né cantare né ballare e i precetti religiosi erano delle verità assolute. Colpa e punizione, Torah e silenzio: di questo erano fatte le sue giornate.

"Unorthodox", la serie tv su una storia di liberazione: Esty e le donne che non possono cantare e mostrare i capelli - di Maria Lombardi

A 17 anni le combinarono un matrimonio. Dovette rasarsi i capelli e indossare ogni giorno una parrucca e abiti accollati. Divenne una sposa destinata solo al concepimento, scivolando in una vita senza intimità, una microsocietà in cui «le altre donne erano pronte a denunciare ogni forma di ribellione». Finché, a 22 anni, dopo aver preso lezioni di guida e aver letto libri di nascosto riuscendo a imparare l'inglese, decise di scappare via. Oggi, 33enne, Deborah vive a Berlino con il proprio figlio di cui ha ottenuto la custodia e la sua vicenda è narrata nel potente memoir Unorthodox: The Scandalous Rejection of My Hasidic Roots (un bestseller che in Italia è pubblicato con il titolo, Ex ortodossa.

Il rifiuto scandaloso delle mie radici chassidiche dalla casa editrice ticinese Abendstern) scritto «con il terrore che nessuno avrebbe creduto alla mia storia».
Complice la quarantena, moltissimi spettatori stanno scoprendo la sua vita grazie alla miniserie Unorthodox - scritta da Anna Winger, Alexa Karolinski, diretta da Maria Schrader, interpretata dalla bravissima e commovente Shira Haas - sbarcata con grande successo di pubblico su Netflix. Un fortissimo inno alla libertà di tutti i giorni, una conquista difesa ogni giorno: «nessuno ha più il diritto di giudicare le mie azioni». E ricordando un Natale romano di qualche anno fa, si racconta a Il Messaggero.

Deborah, vista la sua adolescenza, il confinamento fra quattro mura è una condizione che ben conosce. Come sta affrontando la pandemia?
«Ha ragione, posseggo le risorse necessarie fisiche ed emotive per andare avanti, del resto gli scrittori sono creature piuttosto solitarie. Piuttosto mi preoccupa la paura che ci hanno indotto. Ho la dispensa zeppa di cibo come per lo scoppio di una guerra e sono timorosa per la ricaduta che questa crisi avrà sulla società e sul nostro futuro, soprattutto dal punto di vista politico. Il mio stato d'animo oggi? Ciò che i tedeschi chiamano Weltschmerz, il dolore cosmico, la stanchezza del mondo».

Com'è cambiata la sua vita con Unorthodox?
«Il libro ha cambiato le cose concretamente, è stata la leva che ho usato per ottenere la custodia di mio figlio e mi ha aperto molte porte, sia dal punto di vista finanziario che emotivo. Siamo rinati insieme».

E la serie tv in tutto il mondo?
«La serie ha un impatto più astratto. È uscita durante il lockdown ma c'è una grande attenzione dei media e sono felice che la mia storia abbia commosso le persone, costruendo nuovi ponti culturali. Tutte le luci puntate addosso mi fanno uno strano effetto, provengo da un mondo interamente modellato dal pensiero apocalittico».

Cos'ha provato rivelando la sua vita fatta di divieti e precetti?
«Mentre scrivevo la mia più grande paura era che nessuno mi avrebbe creduto. Un giorno ho letto in pubblico, all'università, un estratto del libro e tutti hanno pensato che fosse fiction, pura fantasia».

Come ha reagito?
«È stato devastante. Non c'è niente di peggio del non essere creduti, del sentirsi completamente soli al mondo senza nessuno che ti capisce. Ecco, credo che l'unione del libro con la serie possa davvero cambiare le cose e aiutare chi sta vivendo una situazione simile».

La scena della prima notte di nozze è molto forte: niente baci, niente carezze, niente intimità.
«Da quella notte ho capito che l'idea di poter cominciare una nuova vita formando una vera famiglia, era solo un'illusione. Quel sogno di libertà è morto nel giro di pochi mesi».

UnOrthodox su Netflix non è una rappresentazione esatta della tua vita. È stato snervante vederlo in tv?
«Sono stata emotivamente coinvolta nel progetto da subito, le due donne che lo hanno creato sono amiche intime, ne abbiamo parlato per anni prima che diventasse ufficiale. Sapevamo perfettamente ciò che volevamo. La serie è un progetto autonomo che parte dalle ultime pagine del libro per riflettere un'esperienza culturale più ampia: da un lato intendevo proteggere la mia privacy conquistata a caro prezzo e volevamo che tutti potessero ritrovarsi nella lotta di Esty (interpretata da Shira Haas, ndr)».

Potendo ricominciare da zero, perché ha scelto proprio Berlino?
«A Berlino qualsiasi persona, non importa il credo politico o religioso, può sentirsi perfettamente integrata. Negli Stati Uniti piccoli episodi di pregiudizio culturale o razzismo erano più comuni, invece in Germania non ho mai avuto problemi».

Ha dichiarato: «Gli uomini Satmar dettano la legge, ma le donne la usano».
«Le donne subiscono severe regole ma si sorvegliano l'un l'altra, pronte a denunciare qualsiasi infrazione ai precetti. Sono custodi e prede, tante volte mi sono chiesta dove fosse il confine esatto. Credo che pur vivendo in un sistema oppressivo e pur agendo con sincera fede, tutti noi abbiamo sempre la responsabilità delle azioni compiute».

Nel dicembre 2012 è stata a Roma con suo figlio, a Natale. Cosa ricorda?
«Abbiamo visto il tramonto a Villa Borghese e visitato il Vaticano. Mio figlio indossava una giacca che, per coincidenza, aveva i colori della squadra di calcio della Roma e dovunque ci hanno offerto tranci di pizza gratis. Ma il giorno più memorabile è stato Natale: ci siamo resi conto che c'era un'altra famiglia nel nostro piccolo hotel che non celebrava le feste: erano musulmani. Avevano un figlio della stessa età di mio figlio e insieme abbiamo cenato da Nonna Betta. È stata un'esperienza che non dimenticherò mai».

Deborah, oggi cosa significa la parola libertà?
«La libertà è ogni piccola decisione che prendo senza che nessuno possa giudicarmi, senza che nessuno cerchi di controllarmi o influenzarmi. È un valore che celebro in ogni momento, a ogni piccolo incrocio nella mia vita quotidiana, giorno dopo giorno. E non invecchia mai, questo brivido, d'essere davvero responsabile della mia stessa vita».
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA