Coronavirus, Chiara Narracci: «Sono contraria a Immuni, perché le app ci tolgono il fiato»

Coronavirus, Chiara Narracci: «Sono contraria a Immuni, perché le app ci tolgono il fiato»
di Rosario Dimito
6 Minuti di Lettura
Sabato 25 Aprile 2020, 23:44
«Troppe le brutalità che nel passato si sono compiute in nome della paura, della sicurezza, della protezione del proprio benessere, per non guardare con scetticismo alle app sulla tracciabilità. ritengo di essere contraria alla app creata per scongiurare la diffusione del Covid, perchè tutto ciò che ci invita a chiuderci, è limitante per noi stessi e per gli altri. Non abbiamo e non potremo mai avere il controllo di tutto, cosa c’è di bello poi nel controllo? Come appagheremo il nostro bisogno di sperimentarci, il nostro bisogno di autonomia e di libertà vera?».

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Chiara Narracci, sociologa e studiosa delle relazioni comportamentali, boccia l’istituzione dell’applicazione da installare sullo smartphone per monitorare l’andamento del virus e far sì che, tenendolo sotto controllo, sia possibile avviare la ripartenza dell’Italia, dopo un mese e mezzo di lockdown.

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L’esperta ha la sua ricetta, molto semplice, quasi scontata, ma efficace. «Per contrastare il virus, serve distanza sociale e responsabilità individuale con multe serie a chi viola le norme». La sociologa spiega: «Le app appagano i bisogni fondamentali di sicurezza, visibilità, cura e la paura di perdere il controllo». 

La scelta di avere questa applicazione, è il pensiero della Narracci che si ispira al pensiero di Max Weber e Bauman dell’interazione dell’individuo con la soocietà circostante, «rimanda alla responsabilità individuale tanto quanto il tenere le distanze in questa esigenza a ti-Covid-19, solo che, in un caso si spenge il cervello, nell’altro si resta vigili; tra l’altro la storia tende a ripetersi offre pertanto le chiavi di lettura del presente e consente di fare previsioni sul futuro». 

L’esperta vola alto invadendo l’analisi economica. «Ogni qual volta una società -  dice - ha raggiunto il benessere, ha abbassato le difese e si è impigrita, ha decretato il suo declino. A furia di delegare si perde la conoscenza diretta e alla lunga ci si sente inetti, perché si è smesso di attivare il cervello nella risoluzione dei problemi. Questa dimensione è nota alle donne che per troppi millenni sono state messe a parte delle decisioni».

Nella sua analisi, la sociologa rilegge in chiave moderna Platone: «Il benessere economico ci ha portato a tenere meno alle cose, che a loro volta non sono più ideate per durare, perché dopo poco sono obsolete. Si ha pertanto voglia di possedere l’ultimo modello che ci garantisce tra l’altro non solo maggiore efficienza, ma anche maggiore visibilità, fondamentale nella società delle immagini».

Ma dalla filosofia antica, la Narracci torna all’analisi sociologica che è il suo forte ed esibisce nei vari webinar che organizza per movimentare queste giornate di fine lockdown per preparare i suoi clienti ed amici al ritorno alla vita. E va avanti tutta di un fiato.

«Vi è stato presto uno spostamento dalle cose alle persone, perché è un atteggiamento mentale, siamo talmente abituati a cambiare tutto che ci viene naturale cambiare partner, con il risultato di essere sempre più soli e di vivere in modo superficiale, per non sentirci feriti, perché siamo perennemente distratti dalla tecnologia e perché per natura siamo attratti da ciò che ancora non abbiamo. La tendenza a cambiare tutto - prosegue - ci ha portato a disaffezionarci al concetto di fedeltà, anche a livello relazionale. Ma è dalla fedeltà che si trae sicurezza, non dalla efficienza. Non a caso tutto ciò, anziché regalarci la pace, la serenità e la libertà ci ha portato ad avere ansia e paura, mai come in questo periodo storico si registrano depressioni nelle società ricche.  La sempre maggiore efficienza elettronica risponde al bisogno di sicurezza, alla paura, ci illude di avere il controllo della nostra vita, in realtà si è talmente sostituita a noi, anche nelle funzioni di base, che non ci conosciamo neanche più, difficilmente le persone sono consapevoli di cosa sentono e pensano rispetto alle esperienze che vivono perché le vivono in modo veloce e distratto». 

Il passaggio da una realtà all’altra e l’essere presenti su più fronti contemporaneamente ha un rovescio della medaglia, continua l’esperta: «il perdere la capacità di vivere e di godere dell’attimo presente con piena partecipazione. Perennemente distratti difficilmente godiamo della nostra presenza intesa come attivazione di tutte le nostre funzioni cognitive, emotive e spirituali.

Allo stesso tempo siamo diventati pigri anche nella conoscenza di noi stessi, prendiamo per buono quello che ci viene istintivo essere, anche perché non abbiamo certo il tempo di fermarci e chiederci se ciò che ci viene naturale sia efficace per raggiungere gli obbiettivi prefissati, se solo ci dessimo il tempo di riflettere scopriremmo le tante risorse che potremmo invece attivare per fare scelte più rispettose di ciò che è buono per noi». L’analisi si fa ancora più complessa e torna ad affrontare il tema app. «Stiamo vivendo la fase iniziale del declino, quella nella quale si ha ancora l’illusione di avere il controllo della propria vita perché si ha ancora qualche conoscenza, certo è che siamo invitati costantemente a delegare alle app la soddisfazione del nostro bisogno di sicurezza, di cura e di “privacy”, tutelata da milioni di “pin” e “password”, sempre più difficili da ricordare. Tanto che vivremo il cip sottocutaneo per il riconoscimento come l’ennesima irrinunciabile comodità. Ennesimo input per l’atrofizzazione del cervello. Tutto ciò non è facile da comprendere visti i messaggi con i quali veniamo nutriti. Tutte queste comodità vengono infatti vendute per avere più tempo libero, che però abbiamo grande difficoltà a godere al di là di esse, ci si sente persi se per assurdo ci si ritrova in ambienti non connessi, o anche solo se si scorda il telefono a casa, sembra che non sappiamo cosa farne della libertà, ci terrorizza quasi, ci disorienta, perché non ci hanno educato a goderne.

Le tecnologie ti fanno sentire protetto, tenuto per mano, connesso, costantemente tutorato, rispondono ai bisogni fondamentali dell’uomo: il bisogno di essere visti: appagato dall’essere connessi. Il bisogno di cura: appagato da milioni di app sulla salute, il bisogno di autonomia appagata dalla privacy e il bisogno di sicurezza: data dal controllo. Motivo per il quale ne siamo dipendenti, come quando eravamo piccoli, li abbiamo sostituiti alle figure genitoriali e ci ritroviamo società piene di adulti bambini incapaci di gestirsi al di là della specifica, qualificata e certificata competenza professionale e i tanti che invitano ad aprire gli occhi su questa tendenza vengono etichettati come antichi e pessimisti. Non credo lo siano, invitano solo a gestire meglio la tecnologia, a violentarsi se serve, ma a sconnettersi spesso e volentieri, per ritrovare il piacere di stare, osservare, ascoltare ed essere realmente connessi con se stessi e con il tutto che ci circonda». 

Ora la sua introspezione, si chiude: «Generazioni cresciute sotto il perenne controllo degli adulti hanno più difficoltà ad essere autonomi, perché poco si sono confrontate con i loro limiti e poco hanno lottato per implementare le loro risorse, non le hanno educate a cavarsela da soli nelle situazioni, base per l’autostima. Generazioni troppo protette dagli adulti che non li hanno educati alla libertà, se ne ha pertanto troppa paura. Non possiamo pertanto stupirci di questa situazione possiamo però prenderne atto e contrastare il falso appagamento di bisogni autentici ed iniziare ad appagarli veramente». Ma forse si esce da tutto questo, uscendo tra poco di casa, potremo rivedere luoghi, persone, situazioni che ci reimmettono nella vita di sempre, con luci, ombre, gioie e dolori.
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