Magliette, giocattoli e vini: boom di brand registrati con "Coronavirus" o "Covid"

Magliette, giocattoli e vini: boom di brand registrati con "Coronavirus" o "Covid"
di Alessandra Spinelli
5 Minuti di Lettura
Sabato 25 Aprile 2020, 16:27
Il vaccino e la cura non ci sono ancora. Eppure solo loro potrebbero portare con senso e dignità il nome Covid. Ma in questo mondo dove tutto è alla rovescia, persino una pandemia diventa un brand da sfruttare. E mentre i Paesi si apprestano a una Fase 2, c’è già chi ha pensato come conquistare il mercato con un nome funesto che ci ha accompagnato negli ultimi mesi. Così dalle bambole-infermiere, «guerriere» della lotta al Covid, ai guanti “Coronavirus Free”, dal disinfettante “Coronavirus Killer” alle magliette “Coronavirus Survivor”, passando per vini e antidepressivi, in tutto il mondo è boom di marchi collegati all’epidemia.

IL DATABASE
Esaminando il database sul sito dell’Ufficio europeo dei brevetti, da febbraio a oggi sono stati depositati 88 marchi con la dicitura “Coronavirus”. Di questi, 7 sono italiani: basti pensare al logo “Coronavirus Wines”, concepito per «articoli di abbigliamento, scarpe, cappelleria» e «bevande alcoliche»; alla scritta “Fuck Coronavirus” della 99 Idee Srl, da stampare all’occorrenza su maglioni, camicie e biancheria intima; o alla dicitura “Antivirus Prevention” della Mediterranea Certificazioni Srl. Sono stati depositati in Italia anche i marchi “Crownman”, «supereroe della lotta al coronavirus» che indossa una tuta da chirurgo, e “Coronavirus Memorial” («ricerche su persone scomparse; servizi online di social networking; servizi di consulenza in materia di lutto»), mentre risale al 28 febbraio la domanda di registrazione sempre legata al Covid presentata da Gl Group Italia Srl, gruppo specializzato nello «sviluppo» di ristoranti orientali (un’iniziativa a scopo benefico, hanno spiegato all’Adnkronos i promotori).


I DUBBI
Levando il settore merceologico delle magliette - la scritta anche spiritosa del terribile virus è stata una delle prime ad essere vendute su Ebay e poi su Amazon per 15 euro  - resta da capire se un certo prodotto abbinato a un evento luttuoso di queste dimensioni, al di là del senso macabro, abbia un riscontro tra i compratori. E primo ancora è lecito? «Un marchio per essere registrato validamente, deve essere in possesso dei requisiti della novità, capacità distintiva e liceità – risponde Rosa Mosca esperta di proprietà intellettuale di Rödl & Partner, colosso della consulenza legale internazionale presente in 50 Paesi tra cui l’Italia – Nel caso di specie, non si ritiene che il marchio “Coronavirus” sia nuovo e distintivo, rappresentando esso il nome scientifico di una patologia ed essendo diventato in tempi rapidissimo una dicitura ormai di uso comune». Resta comunque da capire se poi davvero qualcuno brinderà con un vino o mangerà un piatto che porta il nome del più letale virus degli ultimi tempi.

Ad esempio per quanto riguarda la domanda, presentata il 28 febbraio scorso da Gl Group Italia srl  presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi per il marchio denominativo “Coronavirus”, l’esaminatore deve stabilire se siano stati rispettati i requisiti formali e sostanziali necessari per procedere con l’iter di registrazione. Al momento il marchio non risulta ancora registrato e non appare allo stato neanche registrabile . In primis, come si legge su Agenda digitale, perché manca il requisito della novità: Coronavirus è infatti una dicitura scientifica indicante una patologia specifica. Così vale anche per la capacità distintiva, in quanto tale termine, ormai noto al pubblico più disparato, richiama espressamente il virus dei nostri giorni.

IL CASO SPAGNA
Ma ci sono Paesi dove la faccenda è ancora più seria. L’Ufficio spagnolo brevetti e marchi, dal 13 marzo, un giorno prima della dichiarazione dello stato di allarme, ha sul tavolo una domanda di un facoltoso uomo d’affari per registrare esclusivamente il nome di Coronavirus per tutti i tipi di bevande alcoliche, tranne la birra mentre un altro ha fatto richiesta per associarlo a prodotti chimici e industriali, cosmetici, profumeria e farmacia. Cosa potrebbe accadere con un farmaco o con un vaccino? Questi uomini d’affari potrebbero essere gli unici depositari del nome e fare un sacco di soldi se la domanda fosse accettata? Ci sono poi le richieste per “The Warriors ‘Dolls @ Covid-19”, bambole vestite da dottori e infermiere con tato di mascherina. C’è poi la richiesta per “Stop Covid-19” per gel e disinfettanti e quella di una linea di abbigliamento “Sono sopravvissuto a Covid-19”. Da parte sua, il governo basco ha chiesto di registrare il nome “Covid-19.eus” per due applicazioni mobili legate alla pandemia.

Tutti questi file sono in sospeso - racconta El Pais - perché, sebbene l’Ufficio spagnolo brevetti e marchi (OEPM) continui a elaborare le petizioni elettronicamente, ha paralizzato le procedure faccia a faccia e tutte quelle che richiedono l’intervento di terzi, fino alla conclusione dell’epidemia. È improbabile, tuttavia, che l’uomo d’affari di Madrid sarà in grado di ottenere il nome esclusivo del vaccino o che un profumo per donne finirà per chiamarsi malattia. La legge sui marchi del 2001 esclude i nomi “in contrasto con la legge, l’ordine pubblico e le buone consuetudini” e l’SPTO ha approfittato di questa disposizione per respingere, il 25 marzo, la richiesta di registrare il nome “Coronavinus” per una linea di spiriti.

NEGLI USA
Arrivano dagli Usa “The Coronavirus Blues” della JayMac Pharmaceuticals (si tratta di «preparazioni farmaceutiche sotto forma di capsule in gel per ridurre i sintomi legati a problemi emotivi e psicologici»); “Coronavirus Made in China”; “Love in the time of Coronavirus”; “’Kick Coronavirus’s ass’’ (Prendere il coronavirus a calci nel sederè, ndr); “Keep back 6 feet social distance - Coronavirus 2020”, cioè “mantenere la distanza sociale di 6 piedi” avviso, anche questo, da riprodurre su maglie e cappelli.
Perché nessuno dimentichi neanche per un momento cosa abbiamo passato.
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