Coronavirus, Taiwan dona 6,9 milioni di mascherine all'Europa: 500mila all'Italia

Un cartello indica l'obbligo di indossare la mascherina in una stazione della metro di Taiwan
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Venerdì 10 Aprile 2020, 19:21 - Ultimo aggiornamento: 11 Aprile, 18:25
Coronavirus, Taiwan ha donato all'Unione europea 6,9 milioni di mascherine, di cui 500mila saranno distribuite in Italia, per far fronte alla pandemia. 

«Taiwan può aiutare» con la sua esperienza e con segnali tangibili, ha detto la presidente taiwanese Tsai Ing-wen. «Doneremo il surplus di mascherine e altre forniture ai nostri alleati e ai Paesi più colpiti», ha aggiunto. Sull'isola, nonostante le poche decine di chilometri di distanza dalla Cina, la pandemia di Covid-19 è rimasta sotto controllo con con meno di 400 casi e 6 morti su una popolazione di circa circa 23 milioni di abitanti. Un risultato ottenuto grazie a una serie di aggressive misure di contenimento e monitoraggio prese a partire dallo scorso 31 gennaio, quando le autorità hanno deciso di fare uno screening a tutti in passeggeri in arrivo da Wuhan, in Cina, epicentro dell'epidemia.

 
«In questi momenti difficili, la cooperazione internazionale è cruciale. Apprezziamo molto il gesto solidale compiuto da Taiwan, con la donazione di mascherine mediche all'Ue - afferma il responsabile per la Gestione delle crisi  dell'Ue, Janez Lenarcic -. Il Centro di coordinamento di emergenza della Commissione ha facilitato la consegna di un milione di queste mascherine a Spagna e Italia. I restanti 5,9 milioni verranno consegnati attraverso canali bilaterali agli altri Stati membri». 





Taiwan ha sottolineato «che si tratta di assistenza umanitaria, perché a causa della situazione epidemica, la misura delle limitazioni delle esportazioni di mascherine da Taiwan non è ancora sollevata».

Nei giorni scorsi gli abitanti dell'isola hanno raccolto quasi 3 milioni di euro per aiutare l’Italia nella lotta alla pandemia. Un modo per dimostrare riconoscenza ai sacerdoti camilliani italiani che hanno contribuito a costruire ospedali e cliniche nella contea di Yilan dopo la seconda guerra mondiale.

 
Nonostante il successo nel contenimento del contagio da Coronavirus, Taiwan - che la Cina considera parte del suo territorio - resta fuori dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per il veto di Pechino. Nei giorni scorsi tuttavia gli Stati Uniti hanno chiesto che Taipei venga ammessa come osservatore nell'organizzazione.

 

«Taiwan è leader nel prevenire la diffusione di Covid-19 - si legge in una post pubblicato su Twitter dal dipartimento di Stato Usa -. Gli Stati Uniti e Taiwan sperano di condividere il modello Taiwan con le nazioni di tutto il mondo. Taiwan ha un ruolo da giocare nella sanità mondiale e dovrebbe essere ammesa come osservatore all'assemblea dell'Organizzazione mondiale della sanità».

Washington e Taipei hanno criticato nei giorni scorsi i vertici e l'operato dell'agenzia dell'Onu che ha sede a Ginevra per il modo in cui è stata affrontata l'emergenza coronavirus e in particolare per aver lanciato l'allarme sul contagio troppo tardi. Dichiarazioni che hanno scatenato uno scambio di accuse con il direttore generale dell'Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, che ha risposto accusando Taiwan di razzismo. «Noi sappiamo cosa significhi essere discriminati e isolati più di chiunque altro e siamo stati esclusi dalle organizzazioni internazionali per anni - ha replicato la presidente dell'isola, Tsai Ing-wen -. Invito quindi Tedros a visitare Taiwan e a vedere di persona come i taiwanesi sono impegnati a rispettare la società  internazionale malgrado siano discriminati e isolati».

Polemiche ci sono state anche per un presunto avvertimento che le autorità di Taipei avrebbero fatto all'Oms sul rischio di trasmissione del virus da uomo a uomo allo spuntare dei primi casi in Cina. Avviso che, secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, non è mai arrivato. L'unica comunicazione da parte di Taiwan, spiega l'agenzia dell'Onu, è stata una mail del 31 dicembre nella quale si menzionavano «casi di polmonite atipica a Wuhan che le autorità locali non ritenevano essere Sars». «In questa mail non c'era nessun accenno alla trasmissione da uomo a uomo», ha sottolineato ancora l'organizzazione internazionale.

 
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