«La maestà di Ponte Milvio senza il caos della movida»

Orfana del rito dell'aperitivo la famosa piazza si attraversa in una mancata di secondi
di Enrica Bonaccorti
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Venerdì 10 Aprile 2020, 11:31 - Ultimo aggiornamento: 3 Marzo, 00:42
Domanda banale: dove abiti? A Ponte Milvio. E subito avverti che la distrazione diventa attenzione, le antenne vibrano, la testa s'inclina come quando i cani non capiscono, e puntuale arriva l'altra domanda banale: «E com'è?» ma l'intonazione già presuppone il seguito «Un gran casino, vero?» così dicono. Io, più che abitarci, la attraverso la famosa piazza, e solo se non riesco a evitarla con una strada alternativa per raggiungere il mio cancello 200 metri più in là. Perché, senza epidemia, è proprio il gran casino di cui sopra, ci si mette di meno a percorrere la Roma Napoli che a passare dal Ponte alla Chiesa, i due confini che delimitano la Piazza. Ma a parte il tempo che si perde per attraversare questo slargo appoggiato al fiume, sono i pesci che ci sguazzano il vero elemento che infastidisce. In mare schizzano via, ti puoi incuneare nei banchi più fitti che in un attimo si disperdono, qui no, qui ti guardano. Male. Sei tu l'invasore. E non spostano neppure il peso da una gamba all'altra, restano lì, impiantati sul piedistallo della loro adolescenza, tesserati di un club che non accetta chi ha superato i 20. Magari non sanno che in quell'antichissimo assembramento che invase la piazza, c'erano tanti loro coetanei, che non facevano l'aperitivo ma facevano la guerra, anzi la battaglia, la famosa battaglia di Ponte Milvio. Morti senza feriti, cavalli all'aria e cherubini in cielo. Oltre la famosa Croce ovviamente.
 
 


Un'occhiata a Raffaello Sanzio e si guarda la Storia. Oggi che storia è? Come si potrebbe rappresentare la stessa veduta su Ponte Milvio? Forse non è necessario, la piazza gremita è già un'istallazione di se stessa che mai si potrà rappresentare meglio. E che mai si può immaginare vuota. Ma all'improvviso arriva l'epidemia, le restrizioni, i divieti di assembramento, i locali chiusi, altro che aperitivi, abitudine sempre più precoce che inquina le viscere in quella fascia d'età e deturpa la lingua in ogni fascia. Ma che italiano è facciamo un aperitivo? Tutti barman? Mentre scrivo è sera, dove saranno in questo momento le centinaia di ragazze e ragazzi che ciondolavano, occhio spento e sigaretta accesa, col bicchiere in mano? Dove ciondoleranno? Di questi tempi il locale più frequentato di Ponte Milvio è la farmacia, e l'età si è alzata di molto. Ora attraversi la piazza in una manciata di secondi, e se la guardi dal sagrato rialzato della chiesa in cima al piazzale che fa da spartiacque fra la Cassia e Orti della Farnesina, lo sguardo arriva libero al Tevere, accolto dalla torretta di Valadier. Intorno nulla, sparito il passeggio degli innamorati orfani dei loro lucchetti, spariti i turisti e i ciclisti, resta lui, il Ponte Mollo, eterno oltre ogni pandemia, testimone di tanto, in attesa di altrettanto.
Perché Ponte Milvio sarà sempre protagonista non solo del passato, ma anche culla del futuro di questa città. Se, come mi auguro e credo, tornerà a riempirsi di una gioventù più consapevole del miracolo della vita.
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