Vittorio Parsi
Vittorio Parsi

L'urgenza di agire e quegli stereotipi

di Vittorio Parsi
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Venerdì 10 Aprile 2020, 00:08
Italiani? Pizza, mandolino e mafia: gli stereotipi, si sa, sono duri a morire. Ma qualche volta possono uccidere, facendo perdere tempo prezioso, quando il tempo è un fattore cruciale. Alla Welt non se ne devono essere accorti. In guerra, ricordava Clausewitz, tempo e spazio sono due fattori critici per la vittoria, con una differenza però: che lo spazio perduto si può eventualmente recuperare, il tempo no. Recentemente sul Wall Street Journal, non proprio l'araldo del socialismo, Martin Wolf sottolineava come per cercare di vincere la battaglia economica contro la pandemia occorra una risposta massiccia, tempestiva e coordinata. Se in Europa, a oltre 60 anni dal Trattato di Roma, siamo ancora a c'erano, un tedesco, un italiano e un francese c'è ben poco da ridere.

Non saremo certo noi a replicare a uno stereotipo con un altro speculare e altrettanto fuorviante. In ciò che si ritrova e si alimenta negli stereotipi, gli Italiani, i Tedeschi e i Francesi, semplicemente, non esistono. Nelle medesime ore in cui la Welt pubblicava il suo articolo, lo Spiegel accusava Frau Merkel di meschinità, per la sua ostinazione a non voler mostrare più vasta solidarietà verso l'Italia e, in ultima analisi, verso la Germania, considerata la posizione che il nostro Paese occupa nella catena del valore dell'industria tedesca.
Lo Spiegel, in un passato anche recente, non si è sempre mostrato scevro da cadute di stile anche pesanti nei nostri confronti. Ma in questa occasione sembra partecipe di una consapevolezza che si sta faticosamente facendo strada tra di noi. Se una cosa ci stanno dolorosamente insegnando queste settimane di vita sospesa è che quando torneremo padroni del nostro tempo non sopporteremo di sprecarlo come facevamo prima. E rincorrere gli stereotipi è tempo letteralmente buttato via.

Detto questo, non possiamo non constatare che una certa dose razzismo, che sia di ritorno o che sia rimasto a lungo in incubazione, continua ad avvelenare l'Europa. Si è parlato spesso del razzismo degli Italiani, durante le polemiche sulle deficienze della nostra accoglienza (e sulla latitanza della condivisione europea) del flusso dei migranti, quando questa era presentata come la questione politica per eccellenza. Ma questo orribile sentimento, il pregiudizio razzista, alimenta anche una parte delle reciproche relazioni intraeuropee. Non ne sono esenti neppure frazioni importanti di classi politiche al governo. Nelle ultime settimane, le dichiarazioni dei vertici olandesi nei confronti della sporcizia degli italiani che spiega perché abbiano dovuto chiudere le scuole, degli italiani che si prendono una siesta, che è poi la cosa che sanno fare meglio hanno rappresentato tutt'altro che episodiche perle di ignoranza.

La civile Olanda: altro stereotipo ancorché positivo. Che forse fa gioco di squadra con la Germania di Frau Merkel, ma in buona parte segue semplicemente la pancia della sua raggrinzita empatia oltre la testa dei suoi corposi interessi.
L'asse di ferro però il premier olandese Rutte lo realizza con quello ungherese Orban. E in piena pandemia il Parlamento olandese vota due mozioni che chiedono al governo dell'Aja di continuare sulla strada dell'omicidio/suicidio assistito dell'Unione. Questa volta non si tratta di assist involontari, o di estremi opposti che si toccano. Questa volta purtroppo si realizza che l'essere fuori sintonia con la storia gioca scherzi di pessimo gusto: i nemici dell'Unione dei banchieri e i suoi paladini si ritrovano alleati nell'incapacità di consentire alla Ue di cambiare passo e prospettiva, non per tornare al passato, ma per guardare al futuro.

E in questo futuro sappiamo benissimo che da soli si perde, ma iniziamo anche a essere consci che uniti in questa maniera si perde ugualmente. Proprio sulle nostre pagine sono state ospitate le parole di Walter Borjans, presidente della Spd. E nei giorni scorsi abbiamo letto e ascoltato gli interventi dell'ex cancelliere Gerhard Schroeder e di Joschka Fisher (suo ministro degli Esteri). Così come i tedeschi hanno ascoltato le parole di Antonio Conte: amichevoli ma ferme, rispettose ma determinate. In questa Europa dei popoli e delle nazioni, che qualcuno vorrebbe ridurre a una società per azioni e qualcun altro vorrebbe semplicemente spaccare (anche da noi), sta faticosamente cercando di nascere un popolo europeo, e un dibattito politico transnazionale. Che non può che partire dalla solidarietà e dall'empatia. È un'operazione complessa, alla quale alcuni hanno sempre creduto e altri si acconciano spinti dall'urgenza dei tempi.
Ecco, appunto, mai come ora, urgenza e tempi sono state parole dal significato tanto chiaro. Facciamo presto, prima di morire tutti di fame e avvelenati dal risorgere di stereotipi e pregiudizi che speravamo morti e sepolti per sempre.
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