Il soprano Jessica Pratt: «Lucia di Lammermoor impazzisce per non ubbidire agli uomini»

Il soprano Jessica Pratt
di Simona Antonucci
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Giovedì 9 Aprile 2020, 19:52

È stata Lucia di Lammermoor per almeno cento giorni. Ha accompagnato questa giovane dama scozzese che impazzisce d’amore («in verità per i soprusi che subisce da tutti gli uomini della sua famiglia») sui palchi di tutto il mondo, dalla Scala di Milano all’Opera di Lima, New York, Australia, Germania.

«Lucia è una compagna di vita, libera, indipendente, coraggiosa che per non piegarsi alle ragioni del potere maschile si rifugia nella follia», spiega il soprano Jessica Pratt, quarantenne anglo-australiana regina del belcanto che da oggi è protagonista, sul palinsesto online del Teatro dell’Opera, del capolavoro di Donizetti, con la regia, l’ultima, del Maestro Luca Ronconi.

Bionda, occhi azzurri, talentuosa e spiritosa, ha una vita e un carattere, che sembrano essere frutto della creatività di uno dei suoi compositori di riferimento, Rossini, Bellini, o Donizetti che ha cantato in più di 40 produzioni.

E' sbarcata a Roma giovanissima e per mantenersi agli studi ha dormito sul divano delle amiche (quando andava bene) o in una roulotte (ma arrivarono i ladri e dovette scappare). Pur di ascoltare le voci delle sue eroine, non potendosi permettere il biglietto, passeggiava nei foyer dei teatri, con un bicchiere in mano, mascherata da “spettatrice con champagne”.

E, star internazionale di 120 allestimenti, in 70 città di 16 diversi Paesi, dopo aver “barrato” due proposte di matrimonio per non rinunciare alla sua passione per la lirica, ha poi trovato l’amore su una chat. E oggi in quarantena nella campagna di Firenze con il marito italiano, dopo quasi due anni di matrimonio, scopre all’improvviso che cosa vuol dire essere sposati. «Non avevamo mai trascorso così tanto tempo insieme. Poteva accaderci di tutto. Abituati a incontrarci per un settimana, ogni due, tre mesi o qui a casa, o in giro per il mondo, ho cominciato questa convivenza con il cuore in gola. E invece stiamo crescendo. Ho persino imparato a cucinare. E non sto impazzendo come Lucia».

Che cosa ha di diverso la Lucia di Ronconi?
«Solitamente gli allestimenti di quest’opera sono scuri, bui, avvolti nella nebbia coma era la Scozia nell’immaginario ottocentesco. Ronconi, invece, mise questa donna sotto una luce bianca, sterile, quasi da casa di cura. Privandole la possibilità di nascondersi. Utilizzò particolari angolazioni per la scena in modo di tenerla sempre sotto osservazione. A nudo, senza scampo».

Perché è così legata a questa eroina che uccide il marito durante la prima notte di nozze?
«Lei ha una sua testa, non si sottomette. La famiglia organizza questo matrimonio e lei impazzisce di dolore. Nell’Ottocento quando cominciano i primi tentativi di emancipazione femminile, gli scrittori, i musicisti, i librettisti, sono costretti ad affrontare il tema. In molte opere risolvevano tutto con l’arrivo di un uomo “salvatore”. Lucia invece non si salva. Donizetti ha saputo raccontare bene la follia anche perché soffriva di depressione».

Quali sono le eroine che hanno toccato la sua anima?
«Mia madre che ha sofferto tantissimo. In scena porto il suo dolore. Vita privata a parte, ogni donna della lirica ha vicende legate a un contesto storico e sociale. Mi piace molto la contessa delle Nozze di Figaro. Una donna sposata, ma non madre. E quindi per la società di allora, fragilissima. Lei combatte per non perdere il suo posto al mondo. Non piagnucola per il marito, ma si dispera perché il destino delle donne che non partoriscono è il convento. E così Gilda, la figlia di Rigoletto. Lei vuole un nome, un posto. Non sa chi sono i suoi genitori, non sa chi è il suo amato, è ossessionata... si dimena per avere una sua collocazione».

Qual è in questi giorni la sua collocazione?
«Sono in campagna. Abbiamo 700 ulivi da potare. Faccio la contadina a tempo pieno. Mi tengo in forma in attesa che riprenda il lavoro. Ma al momento ricevo soltanto telefonate di disdetta. I teatri saranno gli ultimi a ripartire».

Ha ascoltato i canti dal balcone?
«Ho seguito tutto online. Gli italiani sono straordinari, sanno commuoversi e volersi bene. Ed è incredibile quanto cantare insieme, anche a distanza, ti faccia sentire parte di un gruppo. Quando siamo sul palcoscenico, e cantiamo per il pubblico, sentiamo le persone che seguono la musica respirando con noi. Un’emozione che mi manca».

E lei che cosa canta dal balcone o dalla campagna?
«Non ce la faccio. Appena ci provo scoppio a piangere e mi si spezza la voce. Per me cantare è emozione. Ma se ora provo a tirare fuori l’emozione, vengono fuori soltanto lacrime».


 

 

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