Covid-19, Africa bomba a orologeria: «Qui isolamento impossibile»

Covid-19, Africa bomba a orologeria: «Qui isolamento impossibile»
di Franca Giansoldati
4 Minuti di Lettura
Giovedì 9 Aprile 2020, 07:14 - Ultimo aggiornamento: 11:53

CITTÀ DEL VATICANO Al momento non sono conteggiati che 10 mila casi. Pochissimi. Ma in Africa il problema del coronavirus potrebbe esplodere come una bomba a orologeria e dimostrarsi più grande e insidioso di quanto non si possa immaginare. «I numeri bassi non devono trarre in inganno: avete mai immaginato effettuare dei tamponi negli slum brulicanti di capitali come Nairobi, Cotonou o Bangui?».

LEGGI ANCHE Covid 19, lo scienziato Silvestri: «La tregua arriverà in estate, solo allora batteremo il virus»

I RISCHI
Tra tutti i missionari che nel continente hanno il polso della situazione spiccano i comboniani. Grazie alla capillare rete in diversi paesi sono in grado di avere un quadro abbastanza dettagliato dell'evoluzione del virus nel continente e dei rischi che gli africani stanno correndo. Kenya, Niger, Malawi, Centrafrica, Burundi, Camerun, Nigeria, Benin, Sudan, Somalia, Ciad. Le informazioni convergono nel quartier generale di Nigrizia, sul tavolo di padre Filippo Ganapini, emiliano di origine, alle spalle vent'anni in Africa, attualmente al comando della rivista. Il quadro che si delinea è l'impossibilità dei paesi a mettere in pratica le misure di sicurezza imposte dal lockdown.

«Naturalmente viene ripetuto, anche attraverso i social, che la cosa più importante è lavarsi le mani, ma come si fa in centri sovrappopolati dove non c'è nemmeno l'acqua corrente, dove la gente vive ammassata sotto baracche di lamiera, con fogne a cielo aperto. Gli slum si estendono a perdita d'occhio. Come fare i controlli in queste condizioni?» Padre Ganapini si affida alla voce sul campo dei suoi confratelli che confermano questo quadro. È di fatto impossibile fare previsioni sull'attuale diffusione del contagio benché in Africa vi siano deterrenti di un certo peso: per esempio il fatto che la popolazione è soprattutto formata da giovani e che ci sono alte temperature e questo scoraggia la veicolazione del virus.

LEGGI ANCHE Coronavirus, l'Italia chiude i porti alle Ong: «Non sono sicuri»

Per il resto la vita africana ai tempi del coronavirus si dipana a due velocità. C'è, per esempio, la Nairobi in grado di applicare le regole, di sanificare gli ambienti, di seguire una igiene continua, ma allo stesso tempo, in modo parallelo, c'è la Nairobi degli slum dove tutto questo è tecnicamente impossibile da effettuare. «È così in ogni megalopoli. Naturalmente dalla parte meno fortunata il virus ha ottime possibilità di espandersi senza alcun controllo».

Prendiamo per esempio il Niger, 22 milioni di abitanti con 253 casi positivi e 10 decessi e 217 persone in cura, in gran parte nella capitale Niamey. Il paese ha un sistema sanitario fragilissimo e può contare solo su una decina di posti in terapia intensiva. Se la pandemia dovesse scoppiare saranno problemi. Così è pura illusione fare rispettare la distanza sociale, o pensare a un confinamento in casa con 40 gradi. La maggior parte della popolazione - esattamente come accade anche in Benin o in Centrafrica - vive alla giornata grazie a piccoli commerci. La chiusura dei mercati significa la fame. I governi hanno diffuso volantini con indicazioni chiare e messaggi radio, invitando al rispetto delle norme.

Ma nei villaggi le informazioni spesso non arrivano nemmeno. E poi la cronica mancanza d'acqua resta una realtà insormontabile. Sono stati anche presi provvedimenti restrittivi, chiuse le scuole, le moschee, le chiese, i cinema, i ristoranti, in alcuni casi anche i confini e gli aeroporti. Ma tutto è di difficile controllo la parte sommersa. Dal Ciad padre Fidele Katsan che vive nella capitale N'Djamena racconta che gli unici servizi aperti devono rispettare le misure, lavarsi le mani e mantenere la distanza di un metro. Spesso si vedono i musulmani pregare sul ciglio della strada.

IL COMMERCIO
Per la gente poi è qualcosa di incomprensibile il concetto di isolamento perché significa smettere di praticare il commercio informale visto che si deve uscire per non morire di fame. Poi c'è lo scoglio culturale: le persone sono abituate a stare tutte assieme su uno stesso tappeto, prendere il te, mangiare assieme. È davanti a questo dipinto che i missionari mettono in guardia dalle facili generalizzazioni e lanciano l'allarme, denunciando persino l'avanzata di certe idee avanzate da alcuni medici e ricercatori francesi di sperimentare in Africa i test per il vaccino contro il Covid-19, sostenendo che l'Africa ha così occasione di contribuire con gli altri paesi del mondo alla ricerca della soluzione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA