Era già successo nel 2009: tutto era pronto, i simulacri era stati trasferiti già in chiesa a cura dell’associazione laica dei Cavalieri del Venerdì Santo che dal 1999 collabora con la comunità dei frati di San Bernardino per l’organizzazione del corteo del Cristo Morto, quando la furia terrena della notte del 6 aprile paralizzò tutto. Il campanile crollò, l’edificio sacro si riempì di calcinacci, la città di lutti e di abitazioni sventrate. Il venerdì seguente un 10 aprile, come casualmente quest’anno, fu il giorno del lutto nazionale.
Nell’unica data dell’anno in cui la Chiesa non prevede messe, su dispensa pontificia, furono celebrati i funerali di Stato. L’Italia, rappresentata in primis dal Presidente della Repubblica e dal presidente del Consiglio, la Chiesa, per mano del Segretario di Stato e del segretario personale del Papa, si strinsero alla città e al dolore dei familiari delle 309 vittime.
Quest’anno come allora, la storia si ripete: per la pandemia con le drastiche misure restrittive e il rispetto ai morti di portata mondiale. La macchina organizzativa già da alcune settimane si è fermata: non c’era senso a trasportare i simulacri in chiesa quando disposizioni della Cei sospendevano i riti di pietà popolare e gli stessi luoghi di culto sono aperti soltanto per una preghiera individuale. La città però non poteva restare senza un segno di quel rito voluto nel 1954 da Nicola Roccioletti, un seminarista frate che mai prese i voti perpetui ma vivendo sino al 2016 per la Processione.
Federica Farda
© RIPRODUZIONE RISERVATA