La priorità del rilancio dell'economia/ Ecosistema per la ricostruzione industriale

La priorità del rilancio dell'economia/ Ecosistema per la ricostruzione industriale
di Rosario Cerra e Francesco Crespi*
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Lunedì 6 Aprile 2020, 09:30 - Ultimo aggiornamento: 16:51
La crisi del 2008 aveva assestato un duro colpo all’economia italiana, provocando un calo della produzione industriale rispetto ai livelli pre-crisi vicino al 25%. Solo dal 2015 abbiamo assistito ad una ripresa che negli ultimi anni si stava consolidando. In tale contesto si inseriscono gli eventi attuali che al momento vedono il Paese bloccato, con un sistema produttivo in larghissima parte messo in stand-by, in attesa di una ripartenza futura dai contorni incerti.

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Ad oggi non è possibile valutare compiutamente l’impatto della crisi in corso, anche se si stima una caduta del PIL superiore al 10% nel primo semestre e si prevede che circa il 40% dei consumi non necessari andrà perduto o rimandato. Appare però evidente che anche se la fase di lock-down dovesse avere durata limitata, il ritorno alla normalità sarà una conquista che potrà essere raggiunta solo in un orizzonte temporale significativo. Per questo è lecito ritenere che, in assenza di interventi di policy straordinari, dopo questa ulteriore caduta, il nuovo equilibrio che si verrà a creare collocherà il sistema produttivo italiano su livelli drammaticamente bassi.

Molti osservatori assimilano gli effetti economici dell’emergenza sanitaria a quelli di una guerra. Tuttavia, anche se questa immagine rende bene l’idea, attualmente non è in corso nessuna “riconversione industriale bellica”, con l’eccezione di quelle imprese che hanno iniziato a produrre dispositivi sanitari. Quella attuale si configura come una crisi sia dal lato della domanda sia dell’offerta, e quindi particolarmente insidiosa e capace di determinare effetti di desertificazione produttiva in molte aree del paese. E come la natura ci insegna, una volta che il deserto si impossessa dei territori è difficile rinstaurare le condizioni per la vita.

Non è la prima occasione nella storia che crisi economiche profonde si verificano, tanto che il bagaglio di conoscenze e il ventaglio di strumenti oggi a disposizione dei policy maker è molto ampio. È importante esserne consapevoli, mantenere lucidità e freddezza scevre da ideologie e partigianerie, e metterli in campo con rapidità ed efficacia.

Un’esperienza che sicuramente conosciamo bene, anche se spesso dimenticata, è quella dell’IRI, l’Istituto per la Ricostruzione Industriale, fondato nel 1933 con lo scopo di salvare dalla crisi sia le imprese bancarie sia quelle industriali. Trasformato in ente permanente, ha svolto a partire dal dopoguerra, anche grazie a De Gasperi, un ruolo chiave nello sviluppo di settori strategici come l’industria militare, l’ingegneria meccanica, la cantieristica navale, la produzione di ferro e acciaio ma anche nell’affermazione italiana in produzioni ad alto contenuto tecnologico nel settore dell’elettronica e delle telecomunicazioni. Per decenni, l’IRI e le altre imprese pubbliche come, tra le altre, ENEL ed ENI hanno accumulato esperienza e conoscenze tecnologiche e hanno effettuato la maggior parte delle spese di R&S (ricerca e sviluppo) in Italia, oltre ad aver svolto un ruolo decisivo nel promuovere la crescita di una filiera di produzione caratterizzata da reti di piccole e medie imprese dotate di competenze specialistiche.

Negli anni, tuttavia, il ruolo propulsivo delle imprese pubbliche si indeboliva. Da un lato la maggiore competizione internazionale e la mobilità della produzione ne evidenziavano i limiti in termini di dinamismo organizzativo e strategico. Dall’altro l’eccessiva influenza esercitata dalla politica, il moltiplicarsi di obiettivi non-economici che condizionavano l’azione di queste imprese, i problemi di corruzione, nel tempo, ne avevano ridotto l’efficienza in maniera significativa. Per questi motivi, oltre alle note esigenze di finanza pubblica, negli anni 90 del secolo scorso è stato realizzato un intenso processo di privatizzazioni dagli esiti controversi.

Tale esperienza ci consente di affermare che in una situazione come quella attuale, le imprese pubbliche o a partecipazione pubblica possono rappresentare uno straordinario strumento di politica industriale per il rilancio dell’economia, posto che la politica definisca chiaramente le linee strategiche da perseguire e limiti il perimetro della propria influenza alla costruzione di un ambiente idoneo a promuovere la necessaria ricostruzione industriale dopo questa crisi.

Attualmente i principali attori della politica industriale sono tre: il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE), il Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR) e la Cassa Depositi e Prestiti (CDP), con l’accresciuto ruolo di banca pubblica di investimento. L’attuale stato della governance della politica industriale, tuttavia, non sembra in grado di assicurare un efficace disegno e gestione degli interventi necessari al rilancio dell’economia. D’altra parte, creare semplicemente - si fa per dire - una nuova IRI potrebbe non bastare o non essere la strategia più adeguata ai nostri tempi caratterizzati da forte competizione e interdipendenza nel panorama internazionale e dalla strutturale trasformazione indotta dalla diffusione delle nuove tecnologie digitali. Fattori che impongono la necessità di prendere decisioni rapide e soggette a continua ridefinizione.

Per questi motivi la nostra proposta è quella di sviluppare un Ecosistema per la Ricostruzione Industriale, ovvero un sistema di interazioni collaborative tra attori diversi che, nel rispetto dei propri ruoli, spingano la ripartenza economica lungo precise direttrici condivise.

Ecosistema per la Ricostruzione Industriale (ERI) si fonda su questi pilastri:

Costituire una “Strategy Room” autorevole, manageriale e orientata ai mercati con una forte regia in grado di promuovere un processo di coordinamento tra tutti gli attori a partire dai diversi ministeri coinvolti, che spesso agiscono in maniera troppo autoreferenziale.

Includere tra gli attori dell’Ecosistema le grandi imprese a partecipazione pubblica quali, a titolo esemplificativo, Enel, Eni e Leonardo. Sono imprese competitive sui mercati internazionali, all’avanguardia per tecnologie, capacità manageriali e capitale umano, capaci di sviluppare investimenti di grande portata. In questa fase la loro azione di mercato va supportata e integrata all’interno di un disegno strategico che abbia l’obiettivo di una ricostruzione industriale orientata a precise priorità tra cui: piena trasformazione digitale, sostenibilità ambientale, autonomia strategica del paese, rafforzamento delle infrastrutture, consolidamento delle filiere produttive.

Il ruolo di Cassa Deposti e Prestiti deve essere ampliato. L’attuale crisi lascerà in difficoltà finanziarie molte aziende italiane con solide competenze e rilevanti capacità competitive. Su questo il ruolo della Cassa dovrà crescere anche sostenendo operazioni di turnaround finalizzate alla ristrutturazione industriale di imprese in crisi temporanea, sempre rimanendo all’interno di una logica di mercato e mai a tutela di sistemi industriali privi di sostenibilità. Inoltre, è necessario che se ne rafforzi il ruolo di banca di investimento pubblica sulla scia di altre banche pubbliche come la tedesca KfW o la China Development Bank (CDB), che svolgono un’intensa attività di supporto alle imprese che investono nello sviluppo di nuove tecnologie.

Sviluppare iniziative volte a coinvolgere investitori istituzionali e privati in progetti infrastrutturali e di rilancio industriale. Si tratta di convogliare parte dell’ampio risparmio privato disponibile in investimenti, anche di medio-lungo periodo, coerenti e funzionali con la strategia di ricostruzione industriale del paese che verrà definita. Naturalmente questo dovrà avvenire nel pieno rispetto del principio di tutela del risparmio, in particolare di pensionati e lavoratori.

Questo è un primo ma fondamentale passaggio per costruire un nuovo modello di governance e condivisione delle strategie di sviluppo economico del paese nel futuro scenario mondiale.

Vivremo sempre più in sistemi “coopetitivi” - contemporaneamente cooperativi e competitivi - in cui l’Italia dovrà migliorare la qualità della cooperazione per intraprendere un nuovo percorso di crescita e sviluppo e affermare la sua capacità competitiva.

*Rosario Cerra e Francesco Crespi sono rispettivamente presidente e direttore Ricerche del Centro Economia Digitale
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