Emma Dante: «Il teatro ci manca e questa assenza dovrà essere d'insegnamento»

Emma Dante
di Simona Antonucci
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Sabato 4 Aprile 2020, 12:45 - Ultimo aggiornamento: 6 Aprile, 19:31

«Non c’è bisogno di far sempre sentire la propria voce. In alcuni momenti si può anche fare un passo indietro. E restare in silenzio. In solitudine. Se non altro, per rispettare tutte queste persone che muoiono proprio in silenzio e in solitudine».
 

 



Emma Dante, regista palermitana dall’incontenibile creatività, richiesta nei teatri di tutto il mondo per le sue letture mai prevedibili, sarà, sabato 4 aprile, alle 21, al centro di un talk sulla scena virtuale del Teatro di Roma, in conversazione con il direttore artistico, Giorgio Barberio Corsetti.

Che cosa le piace del tema?

«Ho detto di no a molte dirette. Letture, reading di poesie, non mi va. Credo che a parlare in questi giorni bastino le notizie e le immagini. E se ho tempo ascolto musica, guardo film. Leggo. Vado, invece, molto volentieri sul social del Teatro Argentina perché sarà una riflessione su un argomento specifico, il teatro. In un momento in cui il teatro non c’è».

Ce n’è molto sui social, in tv. Lo guarda?

«Il teatro è fatto di condivisione. Di quel silenzio che all’improvviso avvolge la sala quando diventa buia. Del respiro delle persone che aspettano emozioni. Quello che viene proposto online, in questi giorni di isolamento, è un’operazione diversa. Di recupero di lavori importanti. Che secondo me dovrebbero essere parte integrante dei palinsesti televisivi. Non soltanto ora. Quello che invece il teatro dovrà recuperare, e non sarà facile, sarà proprio la condivisione, la vicinanza. E chissà quando sarà possibile».

Quali sono i suoi spettacoli in attesa?

«Misericordia, che in questo caso è il titolo dello spettacolo e non un’esclamazione, aveva appena debuttato a Milano. Al Piccolo. Concluse le ultime repliche e prima della partenza per la tournée, il lockdown».

E il film?

«In cantiere anche le Sorelle Macaluso. Tratto dalla pièce. Le riprese sono state interrotte. Ma tutte quelle donne mi continuano a ronzare intorno. E’ la storia di cinque sorelle, ritratte in varie fasi della vita, la giovinezza, la maturità e la vecchiaia. E in ogni fase ne muore una, ma tutte continueranno a essere presenti in una insolita comunità femminile. Una convivenza tra vivi e morti. Però, non è un film di fantasmi».

Anche il Pupo di Zucchero, il suo nuovo spettacolo, che dovrebbe debuttare in estate al Festival di Spoleto, affronta in maniera inconsueta il tema della morte.

«E’ un testo ispirato a Lo cunto de li cunti di Basile. Ma mentre la Scortecata faceva riferimento a un racconto specifico, il Pupo è legato a Basile soprattutto per l’atmosfera e l’uso della lingua, un napoletano del Seicento, contaminato. Parla di un vecchio che cucina il Pupo di Zucchero, un piatto tipico della Festa dei Morti. E allestisce un banchetto con i defunti. Un attore al centro, tra dieci statue intorno al tavolo».

Potrebbe andare in scena anche nei giorni di distanziamento sociale...

«Giusto. Ma non scherziamo. Ora dobbiamo ubbidire e aspettare. Anche qui a Palermo, nonostante il richiamo del sole e del mare, siamo tutti allineati alle regole. Aspettiamo la rinascita. E il teatro vero. Quello che ci manca. E questa assenza così importante dovrà essere d’insegnamento. Non si potrà, alla ripartenza, dimenticare tutto».

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