Coronavirus, l'epidemiologo: «Ripresa graduale possibile solo con un vero crollo di casi positivi»

Enrico Girardi, direttore dell Unità di Epidemiologia clinica dello Spallanzani,
di Raffaella Troili
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Sabato 4 Aprile 2020, 10:59
Siamo sotto il 5% per cento dei casi nel Lazio. Dottor Enrico Girardi, direttore dell’Unità di Epidemiologia clinica dello Spallanzani, come valuta questo trend?
«L’impressione è che abbiamo fatto un primo gradino in giù. Da parecchi giorni, da tre giorni siamo intorno ai 160 nuovi casi positivi al giorno, questa riduzione sembra essere una tendenza abbastanza stabile».
Ci porta a essere ottimisti.
«Un primo passo verso la direzione giusta, siamo sempre in attesa. Ma forse l’aspetto più positivo è che continuiamo a registrare una situazione in cui quell’andamento esplosivo visto in altre parti d’Italia non c’è».
Che vuole intendere?
«Se vogliamo essere ottimisti: non siamo solo più indietro rispetto ad altre zone d’Italia ma abbiamo una dinamica diversa. Non così grave».
Non è stato il fattore tempo.
«Prima che partisse la diffusione nel Lazio sono intervenute misure più tempestive, eravamo in una fase di epidemia meno diffusa. Un certo livello di trasmissione esiste ancora. Non possiamo dire: “andiamo tutti in pizzeria, ci è andata bene».
Ha creato ansia la ricerca secondo cui il virus si diffonderebbe nell’aria.
«Va interpretata, periodicamente l’ho sentito dire. Resta nell’aria non vuol dire che vagoli nell’aere, avremmo numeri molto diversi e al Nord altro che centinaia di morti. Si intende la compresenza in ambienti chiusi tra persona malata e persona suscettibile. Ma non è che respirandolo nell’aria ci possiamo infettare».
Molti i medici contagiati.
«Direi però che fortunatamente per ora dai dati che abbiamo dagli operatori sanitari emerge che tutti questi casi si sono verificati soprattutto in condizioni in cui lo stato di infezione non era stato diagnosticato. Il rischio maggiore è soprattutto incappare in queste persone, o nella fase iniziale o perché affette da altre patologie».
Loro sì che hanno respirato la stessa “aria”.
«Il vero problema è evitare il contatto in presenza e in vicinanza di persone che possono avere l’infezione, stare a distanza, dovremmo ridurre i piccoli focolai, mantenere lì l’attenzione».
Un cambio di marcia, per allentare le misure restrittive parte da lì.
«Ma servirà un segnale forte. Scendere ancora, da 160 a 80, fino a un caso ogni tre giorni, allora se ne può parlare. Per ora manteniamo altissimo il livello di attenzione. Isolare le persone, sorveglianza e modulare la ripresa. Per ora si può al massimo pianificarla la strategia per riuscire all’aperto».
Presto per fare previsioni.
«Ogni giorno una lieve tendenza alla diminuzione, se questa tendenza non accelera ci vorrà molto tempo, se è così come adesso non ci sono le condizioni».
Ma i numeri sono esatti?
«Se noi avessimo la situazione di Bergamo avremmo eccessi di mortalità notevoli che non si possono nascondere. L’indice di mortalità non può sfuggire, le file dei camion militari le abbiamo viste tutti. Io guardo la tendenza dei numeri».
E’ il caso di tornare a scuola a maggio?
«Sono favorevole a una certa gradualità. Ci sono condizioni a più alto rischio e altre a più basso. La scuola è più pericolosa, la passeggiata sotto casa è diversa. Si può immaginare si moduli la riapertura in base alle condizioni di rischio più basso».
Va ottimizzato il discorso tampone?
«Credo che le persone devono stare a casa, con o senza febbre. Se ho problemi clinici e sospetti, è corretto chiedere di fare il test ma non è così che si controlla l’epidemia».
Tutti plaudono al personale medico, in prima fila lo Spallanzani.
«Questo è un posto pensato per esser utili in momenti come questi. Quando mi fermano ai posti di blocco e dico che vado allo Spallanzani non mi guardano male... vada vada, lo vedo che pensano: lì si fanno cose buone».

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