Coronavirus, scuole chiuse: da Roma a Tokyo oltre un miliardo di ragazzi a casa

Cronavirus, da Roma a Kinshasa passando per Tokyo: 1,5 miliardi di bambini e ragazzi senza scuola
di Raffaele Alliegro
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Sabato 28 Marzo 2020, 01:05 - Ultimo aggiornamento: 15:07

Il primo vive a Roma: è chiuso in casa da più di due settimane con il padre, la madre e la sorella, per studiare si collega con il suo computer alla piattaforma usata dalla scuola. Il secondo vive a Tokyo: siccome le lezioni sono sospese i genitori hanno già ricevuto dal governo un rimborso sulle tasse scolastiche. Il terzo abita a Kinshasa, nella Repubblica democratica del Congo: per lui la sospensione delle lezioni significa soprattutto dover rinunciare al pasto che riceveva ogni giorno a mensa.

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Sono i possibili identikit di tre studenti che in questi giorni restano a casa per colpa del coronavirus. Secondo l'Unesco più di 1,5 miliardi di bambini e ragazzi in tutto il mondo, cioè quasi il 90 per cento del totale, in 165 Paesi, non stanno frequentando la scuola e l'università a causa della pandemia. Ma non tutti vivono il problema allo stesso modo. Le possibilità, gli svantaggi e gli aiuti cambiano radicalmente da Stato a Stato e anche tra zone più o meno ricche all'interno degli stessi Paesi.

La denuncia
Dunque per i ragazzi fragili le difficoltà si moltiplicano. La denuncia è di Save the children, che ha invitato i governi «ad agire per aiutare milioni di bambini vulnerabili». Perché in questo momento, dice Filippo Ungaro, direttore comunicazione di Save the Children, «il mondo ha bisogno di unità». Una denuncia seguita dalla presa di posizione dell'Unesco che ha annunciato la costituzione di una grande coalizione mondiale formata da organizzazioni internazionali e imprese private per aiutare i bambini e gli studenti rimasti senza scuola. La coalizione ha l'obiettivo di «aiutare gli Stati a sviluppare le migliori soluzioni d'insegnamento a distanza per raggiungere i bambini e i giovani più a rischio», ha spiegato l'organizzazione dell'Onu.

 

I paesi
In Europa praticamente tutti i Paesi hanno chiuso le loro scuole. Oltre all'Italia, è avvenuto per gli undici milioni di studenti francesi, ma anche in Germania, Regno Unito, Danimarca, Lussemburgo, Norvegia, Belgio, Austria, Svizzera, Slovenia, Repubblica Ceca, Bosnia e Croazia. E poi per 1 milione di studenti in Irlanda, 1,3 milioni in Grecia, 3 milioni in Romania, 5 milioni in Polonia, 7 milioni in Spagna. Le chiusure sono scattate quasi ovunque anche nel resto del mondo. In Sudamerica le lezioni sono state sospese in Argentina, Perù, Venezuela, Cile e nello Stato di San Paolo in Brasile. In Cina le aule restano off limits per consolidare i risultati ottenuti. Negli Stati Uniti 124mila scuole pubbliche e private hanno mandato a casa 55 milioni di studenti per contenere i contagi. E la stessa misura è stata presa in India e Cambogia, Indonesia e Iran. Ma anche in Siria, Giordania, Libano, Israele e in sedici Stati africani. Un elenco che si aggiorna in continuazione.
Naturalmente ogni Paese, fa sapere l'Unesco, ha la sua specificità e il suo approccio al problema. La Cina, per esempio, ha fornito alle famiglie a basso reddito i computer per le videolezioni e organizzato anche esami online. Gli Emirati arabi uniti hanno messo a disposizione degli insegnanti e degli studenti una linea dedicata al supporto tecnico a cui chiedere aiuto in caso di difficoltà. La California ha organizzato comunque un servizio di rifornimento dei pasti per gli studenti. In Spagna il calendario scolastico è stato riadattato alle nuove esigenze. In Giappone è stato concesso alle famiglie un rimborso delle tasse scolastiche per la durata della chiusura. Alcuni Paesi, come Francia e Giappone, hanno deciso di tenere aperto un numero ridotto di istituti scolastici per i bambini che non possono restare a casa.

Situazione senza precedenti
Questo tipo di aiuti e incentivi, però, non è neanche immaginabile per molti Paesi in via di sviluppo. Spiega Gabriella Waaijman, direttrice umanitaria globale di Save the children: «Stiamo affrontando una situazione senza precedenti. Il numero di bambini e ragazzi che hanno dovuto abbandonare la scuola o l'università equivale all'intera popolazione dell'India. Sappiamo per esperienza che, soprattutto in alcuni contesti, se i bambini non frequentano la scuola per un certo periodo potrebbero non tornare mai più tra i banchi: in particolare chi vive in famiglie a basso reddito. Ecco perché i governi devono mettere a punto strumenti di apprendimento a distanza di facile uso. Dobbiamo essere creativi. Nelle comunità senza Internet si potrebbero usare i programmi radiofonici per l'apprendimento». Un esempio: a Cox Bazar, in Bangladesh, è stato confermato il primo caso di Covid-19. Ma Cox Bazar non è un posto qualunque. Qui si trova il più grande insediamento di rifugiati della terra: un milione di Rohingya, la metà dei quali bambini, sono in questo campo dal 2017, quando furono costretti a fuggire dalle loro case per l'esplosione della violenza in Myanmar. Perché non prevedere anche qui forme di apprendimento a distanza?

La chiusura delle scuole non ha le stesse ricadute ovunque, conferma Filippo Ungaro di Save the Children, perché in alcuni Paesi il problema principale non è quello di organizzare le lezioni a distanza: «In questo momento dobbiamo sostenere i Paesi che sono stati devastati dalla guerra per anni. Paesi in cui i sistemi sanitari sono già al limite. Hanno bisogno di tempo per prepararsi a combattere il virus». E aggiunge: «Stiamo parlando dei Paesi più poveri e in via di sviluppo, dove le strutture scolastiche sono estremamente deboli. In 43 Paesi africani ci sono stati 2.412 casi complessivi di coronavirus. Nella Repubblica democratica del Congo o nel Burkina Faso, ad esempio, molti alunni non avrebbero più il cibo assicurato dalle mense delle scuole». È appunto quel terzo bambino che, a differenza dei suoi compagni di Roma e di Tokyo, con la chiusura delle scuole potrebbe avere un problema in più: non solo la fine delle lezioni, ma anche un pasto al giorno in meno.

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