Coronavirus, l'infettivologo Rezza: «Il numero dei morti resta alto. A fine mese capiremo come sta andando»

Coronavirus, l'infettivologo Rezza: «Il numero dei morti resta alto. A fine mese capiremo come sta andando»
di Graziella Melina
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Mercoledì 25 Marzo 2020, 00:56 - Ultimo aggiornamento: 09:40

«In questi giorni c'è la tendenza ad una leggera diminuzione dei casi, bisogna però essere molto cauti nell'interpretazione dei dati, anche perché gli ospedali sono sempre pieni, le terapie intensive sono sempre piene, il numero dei morti sembra essere un po' più elevato». Giovanni Rezza, direttore del Dipartimento Malattie infettive dell'Istituto Superiore di Sanità, monitora il trend quotidiano dei contagiati da Covid-19, li confronta con i dati precedenti e ammette con chiarezza: «si tratta di casi notificati, potrebbero essere stati riferiti a giorni addietro e che approssimano l'andamento reale, che è quello dei nuovi casi».
Da questa approssimazione cosa si evince dunque?
«Bisogna ancora attendere la fine del mese per vedere se veramente c'è un impatto e di quanto, delle misure coraggiose e pesanti che sono state prese finora». 
Ormai è chiaro che i numeri dei contagiati in realtà sono molti di più?
«Intanto, i casi notificati un po' sottostimano i casi sintomatici reali, perché ci sono persone che hanno i sintomi, ma a loro non viene fatta la diagnosi. Si tratta per lo più, in particolare, di casi più lievi; poi c'è un numero indefinito di casi di persone asintomatiche che avrebbero un test positivo e che sicuramente è impossibile rilevare. In nessun Paese, del resto, vengono individuati tutti i casi».

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Se la situazione non è tracciabile diventa però difficile capire come stanno davvero le cose.
«I contagiati saranno sicuramente di più, ma questo rende ragione del fatto che il tasso di letalità non si alza. Quelli che alla fine vengono conteggiati sono solo le persone che hanno i sintomi più gravi».
L'esatta percentuale del tasso di letalità in fondo rappresenta solo un numero. Pesano invece molto di più tutte quelle bare che vediamo ogni giorno.
«Che la situazione in tre Regioni, in particolare la Lombardia, sia pesante è innegabile. Dopodiché bisogna sperare che funzionino gli interventi che sono stati adottati. E qualche diminuzione di nuovi casi sembra esserci. Quelli che noi conteggiamo finora sono i casi già notificati. Può darsi che sui nuovi un effetto ci sia e ancora non lo vediamo. Ripeto, bisogna aspettare almeno la fine del mese. Non crediamo che da un giorno all'altro cambi la situazione, dopodiché bisogna pure sperare di contenere i focolai che ci sono al Centro Sud».
La paura, anche di molti medici, è che lì le strutture sanitarie non siano in grado di reggere un eventuale aumento dei casi.
«Nelle regioni che non sono state ancora colpite pesantemente, come per esempio nel Lazio, è stato fatto molto. A Roma è stato implementato il numero di posti in terapia intensiva. Nella Capitale, per ora, si sono rilevati alcuni casi in strutture chiuse. Ci sono catene di trasmissione di portata limitata. E' chiaro che bisogna fare un'opera di contenimento. Nelle regioni del Sud certamente l'organizzazione sanitaria non è la stessa che c'è in Lombardia. Quindi bisogna sin da ora cominciare a lavorare. Per il momento, l'incidenza al Sud è piuttosto bassa». 
Per evitare l'affollamento degli ospedali, cos'altro si può fare?
«Il monitoraggio clinico è importante per l'identificazione dei casi precoci. Sia perché c'è il rischio di trasmettere infezione, sia perché in questo modo si può fare un controllo clinico più accurato. È chiaro che i medici di base, le Asl, i dipartimenti di prevenzione hanno un compito molto importante per evitare che chi non ha bisogno di entrare in ospedale faccia veramente isolamento e non trasmetta l'infezione ad altri, e per individuare così le modalità di trasmissione tra i contatti».
 

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