Coronavirus, tra i senatori cresce la paura del contagio. E c'è chi propone tamponi per tutti

Coronavirus, tra i senatori cresce la paura del contagio. E c'è chi propone tamponi per tutti
di Mario Ajello
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Lunedì 23 Marzo 2020, 17:49 - Ultimo aggiornamento: 24 Marzo, 08:07
No treni. No aerei. No viaggi di gruppo, sennò gli eventuali bacilli si mischiano. Arrivano a Roma ognuno a bordo della  propria auto e con le rispettive mascherine sulla bocca o nella tasca i parlamentari che stanno per cominciare l’esame del decreto Cura Italia, che poi sarà votato in Senato. Per ora, si lavora in commissione - domani la Bilancio, poi la Finanze e tutte le altre con molte audizioni in collegamento video, come quella del ministro Gualtieri nelle prossime ore - e quindi si lavora in Parlamento ma con una grande paura addosso.

Diversi senatori in arrivo nella Capitale - con in pugno il normale lasciapassare per i lavoratori esentati dalla quarantena: «Vado a Roma per motivi d’ufficio» e nel caso di posti di blocco polizieschi per gli onorevoli non ci saranno problemi -  hanno scritto al questore di Palazzo Madama, il centrista De Poli: «Ma dove andiamo a dormire se gli alberghi sono tutti chiusi?». E lui: «Aspettate, mi informo con il sottosegretario a Palazzo Chigi, Fraccaro, e vedremo come fare». Poi la risposta: «Molti bed and breakfast sono aperti e si può alloggiare lì come sempre». 

Oppure si potrebbe farsi ospitare dai colleghi che hanno casa a Roma. Ma molti di loro sono spaventatissimi e non disposti a fare convivenza con chi magari è stato eletto a Bergamo o in altri posti molto sottoposti al virus, specie al Nord, e insomma: «Serve cautela e immensa prudenza», dunque ognuno stia lontano dall’altro. E così nelle varie commissioni, le cui sedi sono salette piccole del Senato, quindi luoghi a rischio infezione, ci si è accordati che solo uno o due membri per gruppo parteciperanno ai lavori. Ma le commissioni più importanti, a cominciare da quella Bilancio chiamata ad aprire i giochi sul decreto, traslocano in luoghi ampi. Nella spaziosa Sala Koch al secondo piano di Palazzo Madama, dove prima c’era la biblioteca, saranno una trentina i senatori esperti in bilancio e ognuno a distanza di sicurezza di un metro dal collega. Oltre i membri della commissione anche alcuni capigruppo, come Davide Faraone di Italia Viva, saranno presenti a loro volta in Sala Koch. 

L’intero corpo parlamentare è assolutamente convinto che l’Italia abbia bisogno del suo contributo ma proprio per questo il corpo politico dev’essere sano. Da ora all’approvazione definitiva del decretone gli onorevoli lavoreranno al massimo e mercoledì Conte sarà a Montecitorio per dare ragguagli sul Coronaviurs e poi su richiesta di Faraone anche Speranza e la Azzolina potrebbero riferire fisicamente nell’aula del Senato e non in video-collegamento: ma ci sono le condizioni di sicurezza igienico-sanitaria per non farsi, in tanta dedizione e operosità, prendere dal bacillo?

Fioccano disordinatamente le proposte tra Montecitorio e Palazzo Madama, che giovedì è chiamato alla votazione plenaria d’aula sul calendario dei lavori sul decreto, e le proposte partono da un assunto: non basta mettere i dispenser di amuchina in Parlamento, o farsi misurare la febbre sull’uscio del palazzo. Serve molto di più. Infatti diversi senatori si rivolgono al medico di Palazzo Madama, il dottor Marini: «Ci sono almeno le mascherine per tutti?». Verranno trovate, ma chi ce l’ha porti la sua. Oppure: «Facciamo i tamponi per tutti, così se qualcuno è infetto ci decidiamo di fare finalmente le votazioni on line. Lavorano da remoto le scuole e le università, perché noi no?».

Specie quelli del Sud chiedono lo scrutinio informatico, perché timorosi di mischiarsi con quelli del Nord, considerati più a rischio virus anche se in realtà il virus ormai ha rotto le frontiere geopolitiche. I più decisi a chiedere il voto on line, proprio perché eletti lì e provenienti in stragrande maggioranza dal Mezzogiorno, sono i grillini. Tra i forzisti - alcuni dei quali: «Io in aula non ci vado manco morto e neppure in modalità voto a scaglioni come s’è fatto l’altra volta, perché comunque pericoloso - va molto questa idea. Cioé? «Fare come nella Prima Repubblica», spiega un anziano senatore berlusconiano. Ovvero: «I capigruppo dei vari partiti, come accadeva sempre tra Dc e Pci anche per votazioni cruciali, si mettono d’accordo preventivamente, lavorano insieme sul testo, lo portano in aula quando è il momento non carico di emendamenti ma molto limato, secco e semplificato, si fa un voto solo o poco più e tutti via di corsa a casa. Per non contaminarsi». Per il senatore Francesco Giro bisogna prevedere, «se necessario, il tampone per tutti, anche se asintomatici». Il rischio di chissà quante votazioni, cioè di tanto via via e di troppi incontri, è quello più temuto. Altra proposta: «Ma che ci vuole - si dicono vicendevolmente i senatori e lo dicono anche ai loro capigruppo - a votare ognuno seduto nel proprio ufficio, con un semplice clic?». 

Il voto sicuro, ecco quello che vogliono i «padreterni», come Luigi Einaudi chiamava gli appartenenti alla casta politica. Che invece stavolta altro che padreterni!, si sentono vulnerabilissimi e tremano come tutti i cittadini normali. Quelli più impauriti, o che almeno confessano di esserlo ma anonimamente, sono i berlusconiani, i centristi e quelli del Pd. I leghisti fanno i coraggiosi: «Noi ci siamo e ci saremo sempre e comunque sulla trincea dei nostri scranni!», dice l’ex sottosegretario Candiani, stimatissimo da Salvini. Il quale è rimasto a Roma in questi giorni (per stare con la sua ragazza, Francesca, ma anche per dimostrare di non avere abbandonato la trincea) e questa settimana si piazzerà in Senato. Anche la Meloni, che è deputata, non ha mai marcato visita a Montecitorio gli scorsi giorni, quelli di apertura, e così farà ancora. «Sono sul posto di combattimento», dice. E mercoledì è pronta a sfidare Conte nell’emiciclo. Sempre che Conte non scelga di apparire via schermo, tramite la sua pagina Fb così raccoglie i like. 

Nicola Zingaretti, che sta guarendo, a detto a tutti i suoi: «Guai a disertare il Parlamento, mi raccomando». Qualcuno senza dirglielo la pensa così: «Ok, tutti in trincea. Ma mandateci almeno qualche ufficiale medico». Il dottor Marini, che guida il pool clinico del Senato, al suo posto di combattimento c’è. Ed è necessario eccome che ci sia - i respiratori funzionano, l’ossigeno non manca - perché la settimana prossima, quella dei vari voti veri sul decreto,  dovrebbe coincidere con quella del picco degli ammalati in tutta Italia. A meno che la decrescita degli infetti - e speriamo! - non cominci da subito e confermi il trend positivo. 
Quanto agli alloggi, le prossime settimane se mancheranno posti letto per i «padreterni» non più tanto tali - ma in qualche modo ci si arrangerà - potranno diventare disponibili anche le foresterie militari. Comunque i big fanno a gara nel dire, da Meloni a Salvini, da Orlando vicesegretario del Pd a Crimi che si è fatto paladino del Senato aperto e stakanovista: «Io starò sempre in Parlamento!». L’obiettivo è quello di non farsi dire dagli italiani: la casta è lavativa e la casta scappa! Ma siamo poi sicuri che agli italiani interessi poi tanto se i parlamentari lavorano, pur non essendo loro a decidere veramente le cose? O preferiscono pensare che lavori meglio e di più il governo, visto che è il potere esecutivo quello che conta davvero in questa fase? E’ quello che dicono, riservatamente, molti peones che non vogliono sacrificarsi ad andare nel Palazzo con il rischio di farsi appestare da qualche collega. Quelli che hanno casa a Roma, se la tengono stretta. E chi chiede loro un letto - «Sai in albergo, ammesso che sia aperto, non mi fido di andare e visto che toccherà votare chissà quanti emendamenti e chissà per quanti giorni anche avere una casa accogliente dove stare non sarebbe male...» - si vede rispondere così: «Non sai quanto vorrei che stessi da noi, ma purtroppo ospitiamo già mia suocera scappata dal Nord prima dell’emergenza e ti puoi immaginare che tortura...». Naturalmente è una balla. Ma è una balla bipartisan, la usano quelli di destra ma anche alcuni dem laziali. 

Il «non posso non esserci» e il «si salvi chi può»  sono insomma i due sentimenti intrecciati che dominano gli eletti del popolo. E nessuno può mandare al proprio capogruppo la scusa classica - «Non posso partecipare ai lavori in quanto indisposto» - perché tutti penserebbero: indisposto? quello c’ha il Coronavirus! E finirebbe nella lista degli appestati che è peggio che stare in quella dei disertori. 
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