Arlotta, con la creazione di questo gruppo si era prefissa lo scopo di identificare tutte le pubblicità che danno una rappresentazione scorretta dell’immagine femminile, di inviare segnalazioni alle autorità competenti e organizzare discussioni e azioni dirette verso le aziende che le utilizzano.
Un impegno che partiva nel mondo virtuale del web ma che poi trovava lavoro concreto nel confronto con le aziende.
«Attraverso la pagina, gestita con toni sempre civili con intento didattico e formativo - la ricorda Monica Lanfranco in "Noi Donne" - Annamaria Arlotta formulò alcune linee guida rivolte alle aziende per il corretto uso dell’immagine dei corpi femminili. La pagina ha viaggiato fin qui ad un ritmo costante di almeno una o due segnalazione a settimana, in video, audioe in cartaceo, che palesemente risultano lesive della dignità del corpo e della mente delle donne, oltre che dell’intelligenza e del buon gusto in generale, in una gamma che va dal fastidioso all’oltraggioso. Fare un giro nella pagina significa rendersi conto del livello miserevole di molta della ‘creatività’ comunicativa nello storytelling dominante».
Tra le battaglie che Arlotta ha portato avanti quella contro la pubblicità del caffè Lavazza, ambientata in un paradiso in cui le donne hanno il ruolo di umili ancelle angelicate. Arlotta aveva organizzato una petizione rivolta a Francesco Lavazza, responsabile della direzione immagine dell'azienda chiedendo di sospenderla: «E’ questo il Paradiso? E’ questo che gli uomini sperano di trovare nell’aldilà, un luogo in cui le donne sono solo una delle possibili "dolcezze" e "piacevolezze" a loro disposizione, senza personalità propria e senza parola? E, visto lo sguardo pudico della giovane, magari vergini? Il vostro spot causa più danni di quelle pubblicità volgari con la donnina seminuda che affianca un prodotto. E’ molto più subdola», aveva scritto nel testo della petizione.
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