Coronavirus, Rezza (Iss): «Troppi contagi, siamo in fase di crescita. Nel Lazio? Sono contenuti»

Coronavirus, Rezza: «Troppi contagi, siamo in fase di crescita. Nel Lazio? Sono contenuti»
di Valentina Arcovio
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Venerdì 20 Marzo 2020, 00:42 - Ultimo aggiornamento: 11:12

«Non va bene. Non va affatto bene». Così Giovanni Rezza direttore del dipartimento di malattie infettive dell'Istituto Superiore di Sanità (Iss), subito dopo gli ultimi dati. 

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Speravamo di aver raggiunto una fase stazionaria, invece...
«È evidente che siamo ancora in fase di crescita. Questi numeri ci dicono che si sono molto probabilmente accesi altri focolai. Sappiamo che la situazione in Lombardia è davvero catastrofica. In particolare, a Bergamo e Brescia. Focolai importanti anche nell'Emilia Romagna e nelle Marche». 

Bisogna iniziare a preoccuparsi anche nel Lazio
«Nel Lazio i focolai tendono a essere fortunatamente ancora limitati e contenuti. Importante quindi spegnerli prima possibile. Bisogna evitare di arrivare a situazioni drammatiche come quelle in Lombardia. Nel frattempo però abbiamo un'importante finestra di opportunità che ci consente di attrezzarci nel caso in cui le cose non vadano come speriamo. Ben vengano quindi iniziative come quella a Roma del Columbus Covid 2 Hospital. Ricordiamoci che la Lombardia è una delle regioni più attrezzate di Italia».

Ma oltre alle misure restrittive già prese, cos'altro possiamo fare? 
«Intanto, occorre che le regole imposte su tutto il territorio nazionale vengano rispettate. Non mi sembra che sia così. In secondo luogo, dobbiamo ancora vedere gli effetti delle misure di distanziamento sociale prese a livello nazionale. Lo so che siamo tutti impazienti di capire se i nostri sacrifici hanno funzionato, ma bisogna aspettare ancora. Almeno un'altra settimana. Poi non dobbiamo dimenticarci di quell'ondata migratoria da Nord verso il Sud. Bisogna capire quanto questo abbiamo influito sulla diffusione del virus e quanto sono state efficienti le altre regioni a intercettare tempestivamente i casi di contagio e i loro contatti». 

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C'è qualcosa che il nostro Paese può fare più di quello che ha già fatto? 
«Molte regioni, per esempio l'Emilia Romagna, ma anche la Campania, stanno adottando delle misure ulteriori di contenimento. Pensiamo alla decisione di isolare piccole comunità. Quello che, in casi come questi, si può fare è rafforzare la parte dell'individuazione e dell'isolamento dei nuovi casi; rintracciare i loro contatti e metterli in quarantena, continuare a monitorarli e in caso l'infezione si manifesti metterli in isolamento Così si dovrebbe agire nelle regioni del Centro e del Sud dove l'emergenza è ancora contenuta».

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Aumentano anche i casi tra i medici, rischiamo di rimanere senza cure? 
«Un grande problema, conseguenza del fatto che probabilmente non siamo stati così seri e rigidi nel proteggerli come invece la situazione lo richiedeva. È pure vero che ai nostri operatori sanitari è mancato il materiale di protezione individuale e che i nostri vicini europei non sono stati affatto d'aiuto. Ma ora sembra che, almeno su questo fronte, la situazione si stia sbloccata». 
 

 

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