Irene Facheris: «Essere donna vuol dire girare con un bersaglio al centro del petto e la scritta “sparate”»

Irene Facheris crediti Giovanni Storiale
di Valentina Venturi
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Giovedì 12 Marzo 2020, 11:31

Tutto parte da Youtube, per poi diventare un libro. Dal 2016 alla fine del 2019 Irene Facheris dà vita a una rubrica video dal titolo “Parità in pillole” in cui con «un linguaggio semplice e che non annoiasse, sono nate queste pillole, che per anni hanno aiutato le ragazze e i ragazzi a interrogarsi su alcune questioni, crescendo e sviluppando sensibilità al tema». Oggi le pillole sono diventate di carta, con un omonimo libro (Rizzoli), con le illustrazioni di Chiaralascura, utile a “combattere le piccole e grandi discriminazioni quotidiane”.

Ha mai subito atti di sessismo?
«Certo, sempre e su più fronti. Si va dal commento non richiesto per strada, alle foto pornografiche nei messaggi di Instagram, alle volgarità scritte sotto ai video. Essere una donna vuol dire girare con un bersaglio al centro del petto e la scritta "sparate" e online la cosa è amplificata. Se poi sei una donna, dichiaratamente femminista, che parla di discriminazioni... Stai pur certa che dovrai scontrarti con questi atti di sessismo quotidianamente. Ed è proprio per questo che bisogna continuare a parlarne. Capita a moltissime di noi e va detto forte e chiaro che non va bene, nessuno ha il diritto di trattarci in questo modo. È un problema anzitutto culturale e va sottolineato quanto più possibile».
 
È esperta di gender studies: cosa significa?
«Aver studiato (personalmente sia in università, sia con corsi di perfezionamento) in che modo le persone vengano discriminate a partire dal loro genere, quali siano gli stereotipi che gravano sulle donne e sugli uomini, quanto di quello che crediamo essere biologico lo sia davvero e quanto invece sia solo il risultato di comportamenti che abbiamo reiterato talmente tanto, da finire per considerarli intrinseci nella natura di una persona, a partire dal suo cromosoma».
 
Cosa consiglia alle ventenni? 
«Alle ventenni (e AI ventenni) consiglio di informarsi, di farsi domande e soprattutto di fidarsi delle proprie emozioni. Ogni volta che ci viene richiesto di comportarci in un certo modo perché “le donne devono fare così” o “gli uomini devono fare colà” e proviamo fastidio, fidiamoci di quel fastidio, è un’ottima spia che ci avvisa del fatto che siamo davanti a un’ingiustizia».

Se diventasse madre, cosa augurerebbe a sua/o figlia/figlio?
«Faccio molta fatica a rispondere a questa domanda, perché è ormai molto tempo che ho detto che non voglio figli. Lo dicevo quando avevo 4 anni e non mi prendevano sul serio, lo dicevo a 20 e mi dicevano che avrei solo dovuto aspettare quello giusto. Lo dico ancora, a 30 anni, e ogni volta so di stare compiendo una scelta politica, rendendo un po’ più semplice la vita di altre donne che, come me, non sentono il desiderio di maternità e che, come me, vengono considerate meno donne per questo. Ecco, se diventassi madre augurerei a mia/o figlia/o di essere libera/o di portare avanti le proprie scelte, per quanto non rispondano alle aspettative della società patriarcale, sessista, razzista e omofoba nella quale ancora ci troviamo».
 
Nel 2020 la definizione di femminismo ha senso?
«Certo. Una persona femminista crede nella parità politica, sociale ed economica tra i sessi. Questa parità ancora non è stata raggiunta (un femminicidio ogni 3 giorni, gender pay gap complessivo quasi al 50%, 8 suicidi su 10 sono uomini), quindi bisogna continuare a portare avanti le battaglie del femminismo, tutte e tutti insieme».
 
Ha letto il libro di Emma “Bastava chiedere”?
«L’ho letto e l’ho trovato necessario, ci sono moltissimi spunti di riflessione. Certamente è diverso dal mio, sia perché il mio è un saggio scritto mentre questo è centrato sull’immediatezza delle immagini, sia perché i contenuti sono diversi. Sono utili entrambi, ognuno a suo modo. D’altra parte, il femminismo intersezionale non è fatto di “invece” ma di “inoltre”!».

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