Ex Ilva, siglato accordo con ArcelorMittal

Ex Ilva, siglato accordo con ArcelorMittal
3 Minuti di Lettura
Mercoledì 4 Marzo 2020, 16:45 - Ultimo aggiornamento: 20:14
Dopo 4 mesi di trattative serrate è stato trovato un accordo tra i commissari straordinari dell'ex Ilva e i vertici di ArcelorMittal. Secondo quanto si apprende l'intesa – firmata a Milano, nello studio del notaio Marchetti, dall'amministratore delegato di Arcelor Mittal Italia, Lucia Morselli, e da due dei tre commissari straordinari dello stabilimento tarantino – prevede la modifica del contratto di affitto e l'acquisizione del polo siderurgico con base a Taranto, oltre alla cancellazione della causa civile avviata a Milano.

Arcelor Mittal si impegna, inoltre, a impiegare alla fine del nuovo piano industriale 2020-2025 il numero complessivo di 10.700 dipendenti e fissa il 1 maggio 2020 come termine per trovare un accordo coi sindacati per utilizzare anche la Cigs fino al raggiungimento della piena capacità produttiva. Le parti si impegnano poi a favorire la ricollocazione dei dipendenti rimasti all'amministrazione straordinaria. «Abbiamo fatto tutto quello che dovevamo. Molto lavoro è stato fatto e ce ne è molto da fare», è stata la laconica dichiarazione del commissario Alessandro Danovi. 

Dai primi dettagli emersi il contratto di affitto modificato tra Arcelor Mittal e i commissari dell'ex Ilva prevede che AM InvestCo possa esercitare il recesso, con una comunicazione da inviare entro il 31 dicembre 2020, nel caso in cui non sia stato sottoscritto il nuovo contratto di investimento entro il 30 novembre 2020. A pena di inefficacia dell'esercizio del diritto di recesso, AM InvestCo dovrà versare ad Ilva una caparra penitenziale di 500 milioni di euro.

L'accordo firmato oggi prevede un «investimento significativo» da investitori pubblici italiani, che sarà pari «almeno a quanto ancora dovuto da Am InvestCo rispetto al prezzo originale di acquisto», si legge in una nota di Am InvestCo, che conferma un nuovo piano industriale per l'ex Ilva basato su tecnologie a basse emissioni, incluso un impianto preridotto (DRI) finanziato da investitori terzi e uno EAF che costruirà Am InvestCo.

Reazione negativa da parte dei sindacati che bocciano l'accordo. In un comunicato unitario firmato dai leader di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo, e dai segretari generali di Fim, Fiom e Uilm, Marco Bentivogli, Francesca Re David e Rocco Palombella, si sottolinea che "il negoziato avvenuto da novembre 2019 non ha visto alcun coinvolgimento delle organizzazioni sindacali" e che "alla luce dei contenuti appresi" viene ritenuta "assolutamente non chiara la strategia del Governo in merito al risanamento ambientale, alle prospettive industriali e occupazionali del gruppo". Nella nota unitaria i sindacati aggiungono che "a questa incertezza si somma una totale incognita sulla volontà dei soggetti investitori, a partire da Arcelor Mittal, riguardo il loro impegno finanziario nella nuova compagine societaria che costituirà la nuova AM Investco. Nei fatti il preaccordo prevede una fase di stallo da qui alla fine del 2020 per quanto riguarda le prospettive e l'esecuzione del piano industriale". Secondo Cgil, Cisl e Uil "tutto questo arriva dopo due anni di ulteriore incertezza, particolarmente rischiosa per una realtà industriale che necessita invece di una gestione attenta e determinata. A ciò si somma una congiuntura sfavorevole del mercato dell'acciaio". Nello specifico i sindacati chiedono chiarimenti sul periodo di tempo senza una governance chiara; sul ruolo delle banche e dell'investitore pubblico; sul mix produttivo tra ciclo integrale e forni elettrici; sul ruolo conseguente delle due società; e, infine, sulla possibilità con questo piano di occupare i 10.700 lavoratori più i 1.800 in amministrazione straordinaria e i lavoratori delle aziende di appalto, che l'accordo del 6 settembre 2018 assicurava. Tra i punti contestati presenti nel preaccordo figura, inoltre, un aumento dei lavoratori in cassa integrazione e il vincolo dell'accordo sindacale entro il 30 maggio senza una preventiva condivisione da parte dei sindacati del piano e degli strumenti adottati. Per questo – concludono i sindacati – "l'assetto complessivo del piano rischia di essere insostenibile alla luce della sua scarsa verticalizzazione produttiva (tubi, laminati, lamiere, treni nastri) i cui investimenti sono molto inferiori al piano da noi sottoscritto e la positiva previsione di ripartenza dell'Afo5 ha tempistiche del suo rifacimento troppo dilatate nel tempo".




 
© RIPRODUZIONE RISERVATA