LA MANOVRA
Scavallato il girone di andata i margini di manovra sono ridotti al minimo per tutti: Sarri non può più permettersi passi falsi, e la dirigenza ha le mani legate salvo imprevisti dietro front, come un eventuale ritorno di Allegri in panchina, fino a giugno. Poi si vedrà: Sarri - come tutti - sarà giudicato sulla base dei trofei conquistati, ma se la situazione dovesse precipitare la dirigenza è pronta ad agire, in fondo a giugno mancano solo quattro mesi. Il momento in casa Juve è cruciale: l’unico modo per ripartire sarebbe una netta reazione contro l’Inter, ma in questo momento la squadra non offre alcuna garanzia, con troppe incomprensioni e poco tempo per provare a risolverle. La scossa doveva arrivare prima contro il Napoli, poi con il Milan, infine in Champions, ma a Lione la Juve è sparita dal campo per 80 minuti, cercando di raddrizzarla negli ultimi 10.
NIENTE TRACCE
Del sarrismo – apprezzato solo a sprazzi prima della pausa natalizia – nessuna traccia, ma a preoccupare è soprattutto l’assenza dei tratti distintivi degli ultimi 8 anni: la fame, la mentalità, l’agonismo e il DNA. La Juve di Allegri non c’è più, quella di Sarri non ancora e probabilmente non la vedremo mai, in compenso c’è da gestire la 5° sconfitta nelle ultime 17 gare (anche se nella storia europea bianconera dopo una sconfitta nell’andata la Juve ha passato il turno ben 13 volte) e i rapporti tesi dopo il Lione. Bonucci striglia i compagni e rimprovera platealmente Matuidi nel riscaldamento, Sarri non si accorge di nulla e a fine gara, lontano dal miglior stile Juve, recrimina per i due presunti rigori negati da Manzano. Ci sono dati che fanno riflettere, come il possesso palla nettamente superiore al Lione ma senza un solo tiro in porta. Allarma l’ennesima bocciatura dei singoli (Rabiot e Pjanic in primis), ma anche il fatto che Bonucci e Sarri alla vigilia non abbiano intravisto i segnali di un approccio disarmante, contro l’Inter serve tutta un’altra Juve, e Sarri lo sa.
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