Coronavirus, Broccolo (virologo): «Ci sono due focolai certi, ma sono punta di iceberg»

Francesco Broccolo, foto da profilo Linkedin
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Martedì 25 Febbraio 2020, 20:01 - Ultimo aggiornamento: 26 Febbraio, 00:16

Non ci sono ormai dubbi che tutti i casi di infezione da coronavirus SarsCov2 in Italia fossero già lì, «adesso li stiamo individuando. In Italia sono stati fatti almeno 6.500 test e meno di 500 in Francia», osserva il virologo Francesco Broccolo, dell'Università Bicocca di Milano. «Noi che stiamo cercando il virus lo abbiamo trovato ed è questo - aggiunge - il primo motivo dell'alta incidenza di nuovi casi».

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Proprio perché i contagi c'erano già in precedenza, «i casi nel lodigiano possono essere considerati la punta dell'iceberg». Vale a dire che, se andassimo a cercare il virus con un'indagine a tappeto, «troveremmo casi senza una rilevanza critica importante, anche nei bambini», nei quali il virus non ha finora mostrato di non avere conseguenze rilevanti. Tutti i casi rilevati nelle regioni hanno mostrato di avere un legame con la Lombardia, a eccezione di quelli registrati nel Veneto.

Per questo motivo, secondo il virologo, è corretto al momento parlare di due focolai in Italia. Individuare i casi nelle regioni e ricostruire la rete dei contatti è stato possibile grazie ai laboratori di riferimento locali, dove sono stati fatti i tamponi; quando i test danno esito positivo si procede con la ricerca dei contatti per stringere ogni volta il cerchio intorno al virus: «si fa tutto questo per chiudere prima possibile la catena del contagio». Come hanno segnalato in questi giorni le autorità sanitarie, fare i test a tappeto probabilmente porterebbe alla luce molti casi positivi non clinicamente rilevati e finirebbe per generare panico e confusione. «Per questo - osserva il virologo - si preferisce concentrare i test solo nelle regioni in cui trovati i casi».

 



Accerchiare il virus permette inoltre di evitare uno scenario nel quale «avremmo molto probabilmente un' epidemia di tipo semi-influenzale, con una catena di contagio che si diffonderebbe». I cosiddetti 'casi invisibilì sarebbero molto numerosi e, secondo uno studio dell'Imperial College di Londra, sarebbero una conseguenza dei primi casi invisibili arrivati dalla Cina nel resto del mondo e che sarebbero due terzi del totale dei casi usciti dalla Cina. «È l'ipotesi più probabile», ha rilevato Broccolo. «Si calcola che gli asintomatici siano circa il 4% rispetto a tutti gli individui con l'infezione», vale a dire che «su 100 infettati 4 non hanno segni, 80 hanno lievi sintomi di raffreddamento e 16 hanno manifestazioni che vanno da moderate-lievi fino alle più gravi».

È ancora alla luce dei casi invisibili che potrebbe trovare una risposta l'altro grande punto interrogativo dell' epidemia in Italia: il 'paziente zerò dal quale tutto è iniziato. Serve chiarezza anche sulle letalità del virus: «il tasso relativo a questo valore è molto teorico quando viene calcolato mentre l' epidemia è in corso». È infatti il rapporto fra il numero dei morti e quello degli infetti« e questi ultimi »sono sempre sottostimati rispetto al numero reale«, osserva l'esperto. »Attualmente il tasso di letalità in Italia viene calcolato del 3%, ma potrebbe essere soggetto a variazioni«. Il tasso di diffusione è invece pari a 2,6: »dovremo arrivare - conclude - al di sotto dell'1 per uscire dall' epidemia«.

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