Gianluca Cordella
Minority Re(S)port
di Gianluca Cordella

Il ritorno del Gipsy King: Fury in missione per riunificare il titolo dei massimi

Tyson Fury mette all'angolo Deontay Wilder
di Gianluca Cordella
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Lunedì 24 Febbraio 2020, 16:25 - Ultimo aggiornamento: 16:38
Il re gitano è tornato, fatevene una ragione. L’ottimo Tyson Fury ammirato a Miami Beach nel dicembre 2018, quando il primo assalto alla cintura Wbc dei pesi massimi di Deontay Wilder si era chiuso con un verdetto di parità, ha fatto un ulteriore salto di qualità. E sul ring dell’Mgm di Las Vegas, nella notte tra sabato e ieri, lo ha mostrato al mondo. Sei riprese e spiccioli di pugilato da enciclopedia che hanno costretto l’arbitro a interrompere l’incontro e a decretare, per il campione dell’Alabama, la prima sconfitta in carriera. Fatta, fino a ieri, di 42 vittorie e un pareggio, con 41 incontri chiusi prima del limite, 20 dei quali archiviati addirittura al primo round. Ieri è andata diversamente e The Bronze Bomber non è mai riuscito a far esplodere il suo destro. In balia del jab sinistro di Fury, Wilder è andato ko alla terza ripresa. Poi, ancora, alla quinta. Nella sesta è rimasto in piedi per miracolo, prima del salvifico intervento dell’arbitro in quella successiva, quando i colpi di Fury arrivavano a bersaglio da ogni posizione e l’orecchio sinistro non smetteva di sanguinare. E così, dopo il sorprendente ko di Anthony Joshua contro Ruiz - al quale poi il colosso inglese ha posto rimedio nella rivincita - l’unico campione dei massimi ancora imbattuto resta l’uomo che porta per nome il cognome di Iron Mike: 30 vittorie in 31 incontri (21 per ko) e il pareggio di Miami Beach. Ah: Wilder non era mai finito al tappeto nella sua carriera. Ieri ci è finito due volte. 
 
 

ALL’INFERNO E RITORNO
Tyson Fury è campione vero, insomma. Alla faccia di chi si concentrava più sul trash talking, sulle apparizioni in conferenza vestito da Batman, sui karaoke improvvisati alla fine degli incontri. Oltre lo showman, c’è molto di più. E come potrebbe essere altrimenti. Wilder ha curriculum da Hall of Fame della boxe. Lo stesso dicasi di Wladimir Klitschko, che nel 2015 fu costretto a cedere la sua cintura a Fury, incontrando di nuovo la sconfitta - suo malgrado - dopo più di dieci anni di trionfi. Era stato, quello, il punto di non ritorno per il Gipsy King. Sprofondato nella depressione e nelle dipendenze. Dalla paura di essere assassinato dai suoi familiari ai tentativi di suicidio, paranoie alimentate dall’alcol e dalla cocaina che causò la positività a un test antidoping e dunque la revoca del titolo mondiale e la squalifica di due anni e mezzo. Durante i quali i suoi 206 centimetri si sono appesantiti di 45 chili. Ecco: tirando una linea sotto tutto questo, appare incredibile ciò che si è visto a Las Vegas. Un campione tirato a lucido, con molta massa muscolare in più del passato e con quella capacità di ballare intorno all’avversario (e di provocarlo, come quando si mette a leccare il collo di Wilder durante un corpo a corpo) che scomoda paragoni fin troppo eccellenti. 

L’OBIETTIVO
E ora? Premesso che la palla è ancora nelle mani di Wilder che, da contratto, ha 30 giorni per esercitare la clausola di rematch per il terzo capitolo della saga, è innegabile che mediaticamente avrebbe più appeal la sfida contro Joshua. Derby britannico da disputarsi in Inghilterra: roba da far venire giù Wembley e i record di incassi. Ed Eddie Hearn, manager dell’ex campione olimpico,ha già iniziato a spingere sui social in questa direzione. Ma la verità è che Joshua - che detiene le cinture Wba, Ibo, Ibf e Wbo - deve prima difendere il titolo Ibf contro Kubrat Pulev e poi quello Wbo contro Oleksandr Usyk. Quindi l’eventuale sfida con Fury non sarebbe imminente. E lui la prende con filosofia. «Se Deontay non vuole la rivincita, allora sotto con AJ», ha detto Tyson. I tempi lunghi non possono spaventare uno che ci ha messo tre anni per tornare dall’inferno.
 
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