Coronavirus, in Cina i guariti superano i nuovi contagi. Iniziato lo sbarco dalla Diamond Princess
Sul Coronavirus, qual è il vostro lavoro?
«Quello che abbiamo già fatto per Sars, Mers, Ebola e anche per le epidemie stagionali di influenza: sviluppiamo studi sulle modalità di propagazione nelle popolazioni, produciamo scenari che simulano cosa potrebbe succedere e stimano rischi».
E i rischi sono grossi?
«Diciamo che avevamo previsto che in Europa, i casi si sarebbero dichiarati in Inghilterra, Francia, Germania e Italia. Adesso è sull'Africa che stiamo lavorando in particolare Egitto, Algeria e Sudafrica saranno i Paesi più esposti».
Dica la verità, si sente un po' cervello in fuga?
«Ma no! (ride). Dopo gli Usa sono tornata a Torino, all'Isi, ed è proprio lì che ho vinto la borsa Starting Grant del Consiglio europeo per la ricerca. Sono molto grata all'Italia».
Perché Parigi e l'Inserm?
«Ho dovuto passare un concorso molto difficile, incredibilmente selettivoma è quello che cercavo: io sono una fisica teorica di formazione, ma lavoro da sempre in ambienti multidisciplinari tra matematici, immunologi, virologi e anche policy-makers. Faccio parte di una task force che si chiama reacting che punta a rispondere in modo rapido e efficace a emergenze epidemiche».
Nel laboratorio che dirige ci sono praticamente quasi soltanto nomi italiani. Nemmeno loro cervelli in fuga?
«Ma no. Però non è nemmeno un caso: gli studenti e i ricercatori italiani sono bravissimi. È naturale che accada nella mia squadra, perché ho tanti contatti con università italiane. Sono tutti eccellenti. Ma parlare di fuga di cervelli è un non senso nell'ambito scientifico. È un'idea che sembra sottintendere che sarebbe giusto restare, non muoversi, quando invece viaggiare, avere esperienze professionali all'estero, è fondamentale».
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