Riccardo De Palo
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di Riccardo De Palo

Carlo Carboni: «Dal coronavirus agli immigrati, così Internet distorce la realtà»

(Illustrazione Masterfile)
di Riccardo De Palo
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Mercoledì 12 Febbraio 2020, 13:44
Carlo Carboni, 67 anni, insegna Sociology of entrepreneurship e Sociologia della comunicazione e delle nuove tecnologie presso la Facoltà di Economia Giorgio Fuà di Ancona, Università Politecnica delle Marche. Il prossimo 13 febbraio, alle 15, presenterà presso la Luiss il suo ultimo saggio Magia nera. Il fascino pericoloso della tecnologia. Carboni è autore anche molti altri saggi, tra i quali La società cinica (Laterza, 2008).

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Magia nera
è il titolo dell'ultimo saggio del sociologo Carlo Carboni, dedicato al fascino pericoloso della tecnologia. Una sorta di tavola divinatoria, cliccata da un'icona, in copertina, evoca il paradosso del nostro tempo: malgrado l'innovazione sia arrivata a livelli mai raggiunti finora, l'uomo resta lo stesso sin dalla notte dei tempi; e prova lo stesso stupore, di fronte alle meraviglie dell'intelligenza artificiale, di quando scoprì il magico potere del fuoco. Cosa accade nella nostra mente e intorno a essa nella società tecnologica? E perché la nostra percezione si allontana dalla realtà che ci circonda? «Oggi - dice Carboni - dopo avere corteggiato la visione di homo deus, noi quasi-dei capaci di vincere qualsiasi sfida, ci riscopriamo vulnerabili, con il coronavirus. Yuval Noah Harari ha dato per sconfitte le pestilenze, ma non è rimasta la sola morte per incidente».

La tecnologia ha amplificato le fake news?
«Le fake news si alimentano anche per la circostanza che oggi, più dei fatti o dei numeri, contano le percezioni delle persone, che sono spesso fallaci, ci sono studi che lo provano».

Per esempio?
«L'esagerata crisi del ceto medio, di cui si parla tanto: in Italia rappresenta ancora il 50 per cento della popolazione, ma se lo vai a chiedere alle persone, ci si riconosce solo il 38 per cento. Lo stesso accade con gli immigrati: la gente pensa che siano il 30-40 per cento, mentre in realtà rappresentano meno del 10%. Non basta: se nei sondaggi si chiede se stiano aumentando gli omicidi da arma da fuoco, ti rispondono di sì; invece stanno diminuendo».

Perché questo fenomeno?
«La percezione è data dall'emotività imprevedibile delle persone, condizionata dall'opinione pubblica mediale: i media sanno toccare le corde giuste per attirare l'attenzione su certi fatti, ma spesso sollecitano percezioni esagerate. Non dico che sia colpa dei media, ma la miscela è esplosiva tant'è che non sappiamo fino a che punto dobbiamo avere paura del coronavirus».

Certo, muoiono molte più persone per banale influenza.
«La paura cesserà nel momento in cui avremo l'antidoto. Per ora, è giusto temere ciò che non conosciamo e prendere le precauzioni che stiamo prendendo».

Si avvera la profezia di Thoreau, gli uomini stanno diventando strumenti dei loro strumenti? 
«Seguendo la parabola tecnologica, questo rischio è presente, è stato descritto dai futurologi, questo processo di disumanizzazione per cui più che preoccuparci di quanto i robot riescono a somigliarci, dovremmo chiederci quanto noi somigliamo a loro. Soprattutto, se il progresso tecnologico rafforzerà i poteri di sorveglianza, come sosteneva James Beniger 40 anni fa».

Qual è il rischio che stiamo correndo?
«Che le tecnologie siano strumento di sorveglianza. Invece, di trovarci davanti un oceano su cui navigare liberamente come si pensava fino a 15 anni fa, ci troviamo in un lago ben sorvegliato e difeso con decine di codici».

Lei scrive che la tecnologia ha attraversato positivamente il mondo della finanza e dell'economia, screditando però il mondo politico.
«Il populismo non nasce per Internet, però sicuramente viene esaltato dalla Rete, usata per colpire le élite. La finanza è salita per prima sui nuovi protocolli di comunicazione e ha sfruttato l'operatività in tempo reale; mentre l'economia ha faticato di più. L'innovazione ha dovuto farsi largo provocando macerie e distruzione nel mondo imprenditoriale e lavorativo. Si sta discutendo molto, in America, sul potere distruttivo della tecnologia sull'imprenditoria tradizionale».

In cosa consiste la quarta rivoluzione industriale che stiamo vivendo?
«Rispetto alle precedenti, che si caratterizzavano per una singola scoperta (o prodotto) - anche se dall'elettricità sono derivate le scoperte successive - questa è una rivoluzione, almeno per come la descrive Klaus Schwab che combina le varie tecnologie che abbiamo prodotto e che stiamo perfezionando».

L'intelligenza artificiale distrugge posti di lavoro?
«Le ore lavorate sono diminuite e credo che sia dovuto, come osservava Solow, sessant'anni fa, in grande parte all'introduzione di nuove tecnologie».

Iperconnessione significa arricchimento o impoverimento collettivo?
«Iperconnessione non significa impoverimento, per noi sociologi. Barry Wellman ne scrive in senso positivo, perché aiuta l'individuo a uscire dal suo piccolo mondo, a formularsi domande, a costruire una rete. Il gigantismo strutturale della Rete, simile a un alveare, è da considerare un mosaico di questi piccoli mondi».

Sembra che Internet, dopo i primi anni improntati alla libertà a all'utopia, stia diventando un incubo orwelliano. Qual è la sua analisi?
«Con l'inizio del secolo c'è stato un vero e proprio rovesciamento, simile a quello verificatosi per la globalizzazione che dopo aver presentato il suo lato positivo, oggi presenta il suo lato problematico e rischioso. Nel caso della Rete, a inizio secolo è sceso in campo il mercato. All'inizio, Internet aveva questa carica libertaria, che poi è stata teorizzata nei lavori di Nicholas Negroponte e di Derrick de Kerckhove. La vera novità è che dopo il 2010 abbiamo cominciato a realizzare che si stava implementando una grande struttura di sorveglianza e sono nate potenze economiche - Apple, Alphabet (Google), Microsoft, Amazon e Facebook - che valgono più del doppio del pil della Francia. Dai profeti di Internet che parlavano di liberazione si è passati al capitalismo di sorveglianza di Shoshana Zuboff, che sostiene che si sta avverando l'incubo di Orwell. In realtà non è così».

Perché?
«La Rete può diventare un apparato di sorveglianza come quello di 1984? Saremo spiati da Usa e Cina o l'Europa saprà inserirsi ai vertici dei nuovi poteri? C'è comunque un'ambivalenza da affrontare. Internet ci rende liberi o schiavi? Ci rende più stupidi o più intelligenti? Nicholas G. Carr propende per la prima ipotesi, Howard Rheingold per la seconda. Noi possiamo anche prediligere sempre di più l'oltremondo virtuale ma poi, come i marrani, non ci scordiamo mai delle nostre radici. La vecchia società non esiste più, la domanda da porsi è: come può l'individuo interconnesso ricreare un tessuto sociale ai tempi di Internet, sfruttando un capitale sociale di linking?»
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