Ndrangheta viterbese, il pm antimafia: «Indaghiamo ancora. Camilli parte offesa? Imbarazzante»

Uno degli attentati compiuti dalla banda di ndrangheta viterbese
di Maria Letizia Riganelli
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Mercoledì 12 Febbraio 2020, 14:35
No, sulla ndrangheta viterbese non è stata fatta ancora piena luce. Lo hanno sostenuto i due pm antimafia Fabrizio Tucci e Giovanni Musarò, durante la discussione di lunedì scorso in cui hanno chiesto pene per 135 anni alla banda.

Due i punti che, secondo i magistrati, meritano attenzione e approfondimento. Uno è il traffico di droga, l’altro riguarda l’imprenditore Piero Camilli. Il sindaco di Grotte di Castro è finito nell’inchiesta come vittima e nel processo si è costituito parte civile. Lui e la sua famiglia erano diventati bersaglio del boss Giuseppe Trovato che, in più di un’occasione, ha tentato di pianificare un’estorsione ai suoi danni.

LE PAROLE DI CODINO
«La situazione è imbarazzante - ha affermato il pm Musarò in udienza - perché Camilli viene considerato parte offesa, ma a ben guardare potrebbe essere altro». Parole per niente sibilline. Le indagini dei carabinieri del nucleo investigativo e le dichiarazioni confessorie del pentito Sokol Dervishi, sulla vicenda Camilli, tracciano un preciso quadro. «Piero Camilli aveva un problema, diciamo, con un terreno - ha detto Codino durante l’interrogatorio - che i calabresi non gli pagavano l’affitto, non lo compravano e manco andavano via. Camilli si è quindi rivolto a un dipendente (un sardo), che a sua volta si rivolge a un pregiudicato per risolvere questo problema. Pregiudicato che a sua volta chiama Trovato. E noi andiamo».

Per sbrigare questa faccenda il boss calabrese avrebbe sfoderato tutte le sue conoscenze criminali. Racconta ancora il pentito: «Siamo andati là e ci abbiamo parlato, Trovato gli ha detto che ha amici importanti: Siamo legati, sono amici miei, e questi si sono convinti. Camilli ha poi pagato tre o quattromila euro. Io ho avuto 500 euro da Trovato». La vicenda che sembrava conclusa si riaccende quando Trovato viene a sapere che gli altri intermediari avrebbero preso soldi. Così fa velate minacce a Camilli e pianifica l’estorsione.

CONTROLLO DEL TERRITORIO
«Questo - ha detto ancora Musarò - spiega il contesto in cui l’associazione criminale agiva, il modo in cui tentava di acquisire il controllo del territorio sostituendosi alla giustizia civile. Come è successo per l’imprenditore Erasmi, che per recuperare un credito chiama la banda. E come è successo con Pecci. La vicenda, per questa ragione, è in via di definizione e cercheremo di fare piena luce».

Il secondo punto affrontato durante la discussione dai magistrati antimafia è quello relativo al mercato della droga viterbese, seguito da vicino dal clan Rebeshi. «Si stavano espandendo - ha detto ancora il pm - ci sono intercettazioni chiare dove gli imputati parlano di stupefacenti, e ci sono le dichiarazioni rese dal pentito proprio sullo spaccio a Viterbo, gestito dagli albanesi. Ovviamente su questo non c’è ancora discovery. Ma anche Trovato era coinvolto». Su questo investigatori e inquirenti sono al lavoro e non hanno intenzione di mollare.
 
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