Cassazione, svolta sull'omicidio Vannini: «Nuovo processo per Ciontoli»

La manifestazione davanti alla Cassazione
di Valentina Errante Emanuele Rossi
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Sabato 8 Febbraio 2020, 00:02 - Ultimo aggiornamento: 14:21

Ci sarà un altro processo. Un appello bis che di certo aggraverà la condanna per Antonio Ciontoli, il sottufficiale della Marina militare distaccato ai servizi segreti, ma la verità sulla morte di Marco Vannini, sembra oramai certo, non sarà mai scritta. Nessuno, però, chiarirà cosa sia davvero accaduto quella notte tra il 17 e il 18 maggio del 2015, quando il ragazzo di 20 anni, fidanzato della figlia di Ciontoli, è stato colpito da un proiettile della pistola del militare e lasciato agonizzante, tra atroci sofferenze per 110 lunghissimi minuti, prima che venissero chiamati i soccorsi. Ieri, la decisione della Cassazione, che ha accolto il ricorso del procuratore generale Elisabetta Ceniccola e degli avvocati della famiglia Ciontoli, Franco Coppi e Celestino Gnazi, è stata seguita da un lungo applauso. A piazza Cavour, da Ladispoli dove quell’omicidio dai contorni oscuri si è consumato 5 anni fa, erano arrivati in tanti, tutti quelli che hanno ritenuto la sentenza di secondo grado, 5 anni per omicidio colposo, ingiusta. La corte d’Assise, a fronte di bugie, depistaggi e indagini certamente manchevoli, aveva condannato Ciontoli a 14 anni per omicidio volontario con dolo eventuale: non voleva che Vannini morisse, ma era consapevole del rischio che correva nel rinviare i soccorsi. E che si tornasse a formulare la prima ipotesi nei confronti dell’imputato, ieri, lo avevano chiesto sia la Ceniccola che i legali della famiglia. Istanza accolta.




La versione ufficiale è solo quella fornita dall’intera famiglia Ciontoli: Antonio, la moglie Maria Pezzillo, Martina, la fidanzata di Marco e il fratello Federico. Tutti presenti quella notte. Anche per loro, condannati a 3 anni per omicidio colposo, dovrà essere celebrato un appello bis. Il ragazzo, dicono, i testimoni-imputati era dentro la vasca da bagno, quando Antonio Ciontoli è entrato per prendere la pistola nascosta nella scarpiera. Il colpo è partito per caso. Parte una chiamata al 118 in sottofondo si sente Marco chiedere scusa alla fidanzata e chiamare la mamma. Non si è mai saputo perché. La richiesta di soccorsi viene poi annullata. Circa 20 minuti dopo ne arriverà un’altra. Nessuno al telefono fa riferimento allo sparo. Marco è morto dissanguato. Antonio Ciontoli ha sempre sostenuto di avere fermato i soccorsi per paura di perdere il lavoro, se fosse emerso che era stato lui a sparare. Di fatto ha negato che il ragazzo fosse stato colpito da un proiettile, per un momento ha anche sostenuto che si fosse ferito con un pettine. Poi ha tentato di corrompere il medico del pronto soccorso, perché omettesse la verità nel referto. Le indagini non hanno aiutato: l’abitazione dei Ciontoli non è mai stata sequestrata, né sono stati eseguiti accertamenti per stabilire se il corpo fosse stato spostato e portato nella vasca. L’ascolto dei telefoni degli indagati, infine, è partito con grande ritardo. Accertamenti che certo non potrà compiere la Corte d’Assise d’appello che celebrerà il nuovo processo.

IL PROCESSO
Per tutto il giorno a piazza Cavour sono andati in scena sit in e flash mob. Nella sua requisitoria, il sostituto procuratore della Cassazione aveva definito la vicenda «gravissima e disumana». «Marco Vannini non è morto per un colpo di arma da fuoco, ma è morto per un ritardo di 110 minuti nei soccorsi» che a lungo non sono stati chiamati dai Ciontoli, i quali hanno «anche rimandato indietro una prima ambulanza», ha sottolineato il Pg. «Per ben 110 minuti hanno mantenuto una condotta reticente e omissiva parlando al telefono con gli operatori del soccorso senza dire nulla dello sparo», ha proseguito la Ceniccola, ricordando che fino alla fine Antonio Ciontoli ha cercato di tenere nascosto che Marco era stato colpito da una pallottola, rimasta conficcata nei muscoli del petto, cercando anche di «corrompere» il medico del pronto soccorso affinché «non parlasse nel referto del colpo di pistola». «Tutta la famiglia Ciontoli - ha detto il pg - era in condizioni di capire che cosa stava provocando quel proiettile nel corpo di Marco». E ancora: «Ciontoli ha seguito passo per passo l’agonia di Vannini, pensando solo a salvare il suo posto di lavoro». I TESTIMONI «La morte del ragazzo avrebbe portato via l’unico testimone di quello che è successo nell’abitazione di Ladispoli», ha messo in evidenza Coppi nella sua arringa, parlando dei ritardi nei soccorsi, chiedendo la riapertura del processo e condanne più severe. «È stato colpito da un’arma micidiale, lo sparo gli ha trapassato cuore, polmone, e una costola, e si è fermato sotto i muscoli del torace. Il cuore di Marco ha continuato a pompare sangue fino alla fine, tanto che l’autopsia ha rilevato un’emorragia interna di sei litri di sangue: poteva salvarsi, come ha riconosciuto con onestà lo stesso consulente della difesa», ha detto Coppi. «Marco lanciava urla disumane, hanno detto i vicini e un’infermiera, sveniva e riapriva gli occhi: impossibile - ha concluso l’avvocato - che i Ciontoli non si fossero accorti della gravità delle sue condizioni». Ora per tutti e quattro gli imputati torna lo spettro dell’accusa di omicidio volontario. 

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