Carlo Nordio
Carlo Nordio

Il caso prescrizione/La mediazione impossibile sul diritto alla difesa

di Carlo Nordio
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Martedì 4 Febbraio 2020, 23:54
Molti anni fa, durante la discussione parlamentare sui Patti Lateranensi, Benedetto Croce pronunciò alcune parole divenute emblematiche: «Accanto a persone per le quali Parigi val bene una Messa, altre ve ne sono per le quali una Messa conta molto più di Parigi, perché è questione di coscienza».

L’illustre filosofo si riferiva alla frase attribuita ad Enrico di Navarra, che abiurò la fede ugonotta e si convertì al cattolicesimo per ottenere la corona di Francia. Frase che da quel momento contrassegna lo spregiudicato opportunismo politico, al quale Croce opponeva, appunto, l’imperativo della coscienza. 
Nel dibattito che sta per iniziare alle Camere sulla prescrizione, Parigi sarebbe la stabilità della maggioranza governativa, e la Messa sarebbe quel minimo di residua civiltà giuridica che il ministro Bonafede rischia di sgretolare definitivamente con la pericolosa riforma che rende eterni i processi. 

Ora non sappiamo se Renzi voglia imitare Benedetto Croce, minacciando una crisi se il provvedimento non viene ritirato o almeno sospeso. Né sappiamo se questa sua iniziativa poggi sul nobile intento di salvaguardare i princìpi minimi del diritto, o quello più machiavellico di minare la stessa maggioranza.

Magari per acquistare nella stessa maggioranza un maggior peso contrattuale. Comunque sia, è un’ottima scelta, che ha messo nell’angolo il ministro della Giustizia, che si trova ora in un vicolo cieco.
L’alternativa infatti è la seguente: o Bonafede accetta di rinviare la riforma (che peraltro è già entrata in vigore) e allora smentisce mesi interi di solenni affermazioni contrarie, e rimane al suo posto come una “lame duck”, un’anatra zoppa di credibilità affievolita. Oppure la ritira in toto, come chiedono le opposizioni, e allora rischia addirittura di doversi dimettere. 

In realtà potrebbe cavarsela ricordando a se stesso, e agli altri, che questa riforma fu approvata sul presupposto di una concomitante riedizione di un codice di procedura penale, volta ad abbreviare il corso delle cause. Riedizione ancora da imbastire, ma che Bonafede potrebbe pur sempre accelerare, rinviando la prescrizione a una promulgazione simultanea, come in effetti era nei patti sin dall’origine.

Ma poiché il ministro pare voler continuare in una ostinata intransigenza, la via di uscita è sempre più difficile e insidiosa. Per uscirne, è possibile che alla fine intervenga Conte con una formula vagamente compromissoria e vescovile. Ma sarebbe comunque un pasticcio umiliante per il governo e, se ci è consentito, anche per il Paese. 
Nel frattempo le proteste sono aumentate. Gli avvocati sono in aperta rivolta, e persino alcune toghe di ermellino, alle inaugurazioni dell’anno giudiziario, hanno manifestato perplessità di ordine costituzionale e difficoltà di gestione operativa. Quanto all’Associazione Nazionale Magistrati, ha perso un’occasione. In un primo tempo si era infatti dimostrata blanda e comprensiva, forse perché, come dicono i maligni, aveva contrattato questa neutralità disarmata con il ritiro della proposta di Bonafede di procedere al sorteggio dei membri del Csm. Poi però il Ministro ha creduto bene di indicare nell’azione disciplinare verso i giudici uno dei rimedi per abbreviare i processi.
Proposta assurda, perché la loro lentezza dipende da ben altre cause, e i nostri magistrati avranno tanti difetti ma non quello della poltroneria. E questo ha scatenato la reazione delle toghe, che, sordi alla sottrazione dei diritti individuali con la sospensione della prescrizione, sono invece sensibilissimi quando - giustamente o no - vengono aggredite le loro prerogative. 

Sta di fatto che Bonafede si è trovato tutti contro, e anche il Pd comincia a rivedere la sua strategia che in questi ultimi tempi era pericolosamente scivolata verso un giacobinismo arrendevole. 
Concludo. In tutto questo, e comunque vada finire, ancora una volta la Giustizia - a cominciare dal pilastro del diritto alla difesa - è stata sacrificata sull’altare dei pregiudizi ingannevoli e delle convenienze contingenti. Ora vedremo l’atteggiamento di Renzi. Una sua resistenza, anche a costo di sacrificare Parigi, ne accrescerebbe la dignità politica. Un cedimento, significherebbe che Parigi è stata ridotta al rango di un villaggio, la Santa Messa a quello di un’omelia mattutina, e che anche la coscienza crociana è solo un accessorio di una precaria visibilità elettorale.
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