Sesso in cambio di lavoro, chiesti 4 anni di carcere per un ex dirigente del Comune

Il Tribunale di Pescara
di Stefano Buda
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Martedì 28 Gennaio 2020, 10:25
Chiesta una condanna a 4 anni e 4 mesi di reclusione per C.D.D., l’ex dirigente del Comune di Montesilvano accusato di violenza sessuale ai danni di una donna romena. I fatti risalgono al 13 febbraio del 2016, quando la vittima entrò nell’ufficio di C.D.D., a Palazzo Baldoni, per discutere della possibilità di ottenere un lavoro. Una volta nella stanza, però, sarebbe stata molestata dall’allora dirigente, che in seguito è stato licenziato. «Mediante violenze e minacce» si legge nel capo d’imputazione – C.D.D. avrebbe «costretto la donna a subire atti sessuali». Più nello specifico l’avrebbe «tenuta con forza per le braccia, baciandola sulle labbra contro la sua volontà e palpeggiandole il seno e le gambe».

Il pm Andrea Papalia, ieri in aula, ha ricostruito passo dopo passo l’accaduto. «Si tratta di un episodio di molestia violento e odioso – ha detto nel corso della sua requisitoria – che avrebbe potuto essere ancora più violento se non fossero intervenute le forze dell’ordine e che peraltro è stato commesso da un funzionario pubblico all’interno di un edificio pubblico». Il pm ha osservato come «la prova principale derivi dalla deposizione della persona offesa, risultata priva di contraddizioni e perfettamente coerente con la situazione riscontrata dagli agenti intervenuti».

Fu l’ex sindaco Francesco Maragno – secondo il quale già in altre in occasioni C.D.D. avrebbe utilizzato il suo ufficio per appartarsi con delle donne – a preallertare i carabinieri e a recarsi in Comune insieme a due vigili urbani, trovando l’imputato con i pantaloni slacciati e la donna, imbarazzata, che tentava di ricomporsi. «Gli agenti notarono la condizione di paura della vittima – ha ricordato Papalia – e la rabbia, da parte dell’imputato, per il fatto di essere stato scoperto. Successivamente giunsero anche i carabinieri, che videro l’imputato mimare il gesto del taglio della gola nei confronti della donna – ha proseguito il pm –. Una chiara intimidazione, che non avrebbe avuto alcun senso se C.D.D. non avesse avuto nulla da temere e d’altra parte non si capisce perché la donna avrebbe dovuto inventare tutto». La parte civile ha presentato una richiesta di risarcimento di 50mila euro, mentre la difesa, che ha invocato l’assoluzione, ha avanzato dubbi sulla ricostruzione dell’accusa. 
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