Imu alla Chiesa, il Campidoglio si arrende: sfumano 200 milioni. «Impossibile contare i beni»

Resa del Campidoglio sull Imu alla Chiesa: sfumano 200 milioni «Impossibile contare i beni»
di Lorenzo De Cicco
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Martedì 21 Gennaio 2020, 01:09 - Ultimo aggiornamento: 13:36
Era una vecchia promessa elettorale di Virginia Raggi, che nel 2016 assicurava: chiederemo l’Imu agli enti commerciali della Chiesa. Peccato che gli esperti del Campidoglio, dopo anni di lavoro sotterraneo, con tanto di pool tecnici istituiti ad hoc, oggi non abbiano idea nemmeno di «quanti e quali» siano gli immobili a cui chiedere l’imposta. Sarebbero «circa 10mila», si legge nelle carte che circolano all’Assessorato al Bilancio, ma scovarli uno a uno sembra roba da mission impossible, per la burocrazia capitolina. Troppo «difficile» addentrarsi in questo dedalo di beni, spesso schermati da proprietari «che non hanno un collegamento formale con la Chiesa», come quelli «di proprietà dei prelati». Così si legge nei documenti segreti del Campidoglio, di cui Il Messaggero è in possesso. Insomma, finora l’annuncio tanto sbandierato nei comizi grillini si è rivelato un clamoroso buco nell’acqua. Anche se il M5S contava di incamerare, da questa voce, 200 milioni di euro l’anno. 

La Corte Ue all'Italia: «La Chiesa paghi l'Ici che non ha versato»

IL VERDETTO
Pensare che nel 2017, a un anno dalla conquista del Colle capitolino da parte degli stellati, un ex assessore di Raggi, poi rimpiazzato, addirittura già assicurava di avere incassato «la disponibilità di Papa Francesco» sul tema, salvo poi ricevere un rimbrotto della sindaca per avere tirato in ballo il pontefice. Per il Movimento però quello dell’Ici-Imu da chiedere Oltretevere è sempre rimasto un impegno. Anche Beppe Grillo, da anni, va battendo sul tasto: «È giustissimo che la Chiesa paghi l’Imu». Non è solo propaganda pentastellata d’antan. Il Campidoglio si è dovuto muovere sul serio: la scossa è arrivata il 6 novembre 2018, quando un verdetto della Corte di giustizia dell’Unione europea ha sancito che lo Stato italiano deve recuperare l’Ici non pagata dalla Chiesa anche per gli enti non commerciali. Non solo alberghi, pure scuole private e cliniche. 

Per questo pochi giorni dopo, il 14 novembre 2018, l’assessorato al Bilancio del Comune chiedeva un’indagine «sulla situazione relativa alla morosità degli enti non commerciali, con un focus particolare sugli immobili della Chiesa cattolica», come riportano i documenti interni. Tutto questo proprio «in ragione delle sentenze della Corte di Giustizia Ue sul recupero dell’aiuto illegale concesso dall’Italia con l’esenzione Ici a favore degli Enti non commerciali». In Comune c’è una preoccupazione: «Roma Capitale potrebbe essere chiamata a recuperare quanto non richiesto a tali Enti». 

Quanto? Il Campidoglio, come detto, non riesce a calcolarlo. Prima di arrivare al governo di Roma, i grillini parlavano di almeno «200 milioni di euro l’anno». Così assicurava Daniele Frongia, oggi assessore di Raggi, quando era presidente della Commissione per la razionalizzazione della spesa comunale, postazione da cui elaborò anche un libro, pubblicato a maggio 2016, con un’analisi sugli sprechi della Capitale. 

ESATTORI IN CAMPO
L’amministrazione comunale ha messo in campo anche gli 007 di Aequa Roma, una sorta di Equitalia capitolina. Ma niente, non se ne esce. Gli enti non commerciali sarebbero «circa 10mila», ma «la difficoltà più grande – si legge ancora nelle ultime carte, risalenti al luglio 2019, dell’assessorato al Bilancio - è che gli Enti religiosi non li identifichi in base alla forma giuridica, vanno quindi individuati in base alle definizioni, descrizioni, operazione che risulta essere particolarmente complicata». Beni della Chiesa cattolica in senso stretto sono «quelli la cui titolarità fa capo ad A.P.S.A.», cioè l’amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, «al Vicariato, ed altre strutture di questo tipo». Poi però «ci sono beni o attività che fanno capo a congregazioni od ordini religiosi che non hanno un collegamento formale con la chiesa, ad esempio beni di proprietà dei prelati».

E da questo labirinto i tecnici del Comune non riescono a venir fuori: «Riuscire a dire quindi quali e quanti beni siano è difficile», è l’ammissione che ha il sapore amaro della resa. Anche se sicuramente il volume d’affari sarebbe interessante: «Gli enti non commerciali che svolgono attività ricettive – annotano gli esperti del Campidoglio - sono al 90% della Chiesa cattolica». Ma nessuno, per ora, sa come battere cassa.
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