Mario Ajello
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Caso Gregoretti, il gioco delle parti nel Palazzo offende la giustizia

Caso Gregoretti, il gioco delle parti nel Palazzo offende la giustizia
di Mario Ajello
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Martedì 21 Gennaio 2020, 00:17
Un gioco delle parti. Clamoroso e ad alto rischio. Quale tipo di messaggio passa nella coscienza dei cittadini e sotto i loro occhi?

Quei cittadini che guardano lo spettacolo tra il paradossale e l’irresponsabile, tutto giocato su logiche di Palazzo e non sulla base della coerenza e del buon senso, dell’autorizzazione a procedere a Salvini per la vicenda Gregoretti? Passa il messaggio che neppure la giustizia, già abituatissima purtroppo a venire trascinata in contese elettorali e in guerre di bottega che ne abbassano l’autorità o addirittura la sacralità e ne fanno strame, viene sacrificata nella deriva autoreferenziale della politica. Nella quale i ribaltamenti tattici fanno perdere il senso della chiarezza e confondono, depistano, degradano. 

Qui c’è Salvini che gioca in maniera furba o sapiente con il giustizialismo - “Portatemi le arance in galera”, dice nei suoi giri elettorali in Emilia Romagna - . E dunque: processatemi, tanto sono innocente e vincerò io. Intanto lui vince nella costruzione mediatica del patriota perseguitato, paragonandosi a Silvio Pellico, l’autore de “Le mie prigioni”. E anche buttare in caricatura la storia non è un buon servizio. 

Ma forse quello messo in scena dal Pd è perfino peggiore secondo le logiche normali che sono quelle maggioritarie presso i cittadini italiani. Ovvero: veste i panni di Ponzio Pilato il partito di Zingaretti, in questo gioco delle parti. Per non sporcarsi le mani ora - alla vigilia delle cruciali elezioni regionali - con la via giudiziaria alla liquidazione dell’avversario politico, i dem salgono sull’Aventino e si assentano dal giudizio nella Giunta del Senato, non mettono la faccia sulla propria convinzione secondo cui Salvini merita il tribunale e la condanna, e tra fariseismo e incoerenza allestiscono o favoriscono uno spettacolo che non fa onore a nessuno. Quello in cui il fronte vicino all’imputato, parte del centrodestra, vota a Palazzo Madama contro l’imputato. Mentre il fronte avverso, appunto il Pd, finge di volerlo salvare per lucidare la propria immagine di (finta) anima bella. Quella che, per ostentare coerenza con quanto Zingaretti ha detto nei giorni scorsi (“L’avversario politico va combattuto politicamente e noi non usiamo l’arma giudiziaria”), usa questa coerenza di comodo per non sporcarsi le mani in questa fase elettorale. Sapendo benissimo che se le sporcherà, quando il momento diventerà conveniente, nel voto in aula a febbraio. A urne passate e ben prima delle altre urne regionali di primavera.

Non c’è nulla di liberale, o di passabile, nel ribaltamento in corso. In cui Salvini si atteggia a giustizialista pro domo sua: visto che i numeri per mandarmi a processo ci sono, allora a processo mi ci mando io, questa la ratio in un quadro impazzito rispetto al voto assai più razionale della Diciotti. E i dem si fanno una vernice garantista a là carte, pur sapendo di non esserlo affatto, preparandosi intanto a trafiggere il nemico con lo strumento processuale nel momento giusto, secondo l’uso ereditato da altre stagioni tristemente non archiviate. 

Nella contesa delle piccole tattiche, ecco il San Sebastiano trafitto dalle frecce autoprocurate. Il quale gioca con l’immagine populistica della vittima dei giochi di Palazzo che vuole fermare sacrificando se stesso con un beau geste. Ma occhio soprattutto, nella gara dove nessuno sarà vincitore ma la concezione sana della giustizia ha già perso, al ritorno mascherato e pseudomachiavellico di quella tradizione tipica e del comunismo e del post-comunismo per cui ogni tecnica e ogni tattica è ammessa, anche quelle più dure e politicamente scorrette, in nome della Ragion di Partito. Ma è un’Italia nuova questa? Oppure è un Paese che, nelle sue classi dirigenti e a dispetto del buon senso a parole sempre rivendicato, non vuole emanciparsi dalle sue tare, dai suoi difetti, dallo sguardo corto e concentrato sulle convenienze di piccolo cabotaggio invece di pensare in grande e di guardare avanti? Io mi faccio il piacere di mandarmi in galera (ma in galera augurabilmente e probabilmente non andrà). Noi non ti facciamo il piacere di mandartici. Questo è l’ultimo show.

Gli attori sono quello che sono. Gli spettatori non avrebbero mai pagato il prezzo di un biglietto, ma sfortunatamente è tutto gratis, per vedere la pantomima delle capriole e delle improbabili acrobazie, come se l’Italia fosse un circo.
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