Sono ben poche, tuttavia, le economie che hanno le condizioni giuste per favorire la riduzione delle disparità e l'inclusione. Le chance di una persona nella vita sono sempre più determinate dal punto di partenza, cioè dallo stato socio-economico e dal luogo di nascita. Di conseguenza le disuguaglianze di reddito si sono radicate e le classi sociali quindi sono «ingessate». Lo studio misura 82 economie in cinque dimensioni determinanti ai fini della mobilità sociale, ovvero salute, scuola (accesso, qualità ed equità), tecnologia, lavoro (opportunità, salari, condizione), protezioni e istituzioni (protezione sociale e istituzioni inclusive).
Il «Global Social Mobility Index» assegna il primo posto alla Danimarca (con 85 punti), seguita da Norvegia, Finlandia, Svezia e Islanda. A completare la rosa dei primi dieci sono l'Olanda, la Svizzera, l'Austria, il Belgio e il Lussemburgo. Tra le economie del G7, la Germania è la più mobile socialmente (11esima, con 78,8 punti), seguita dalla Francia (12esima). Il Canada (14esimo) precede il Giappone (15esimo), il Regno Unito (21esimo), gli Stati Uniti (27esimi) e, infine, l'Italia, che è 34esima, preceduta anche da Portogallo (24esimo) e Spagna (28esima). Nell'indice di mobilità sociale, la Penisola ottiene un punteggio di 67, con cui supera di poco Uruguay, Croazia e Ungheria e resta alle spalle di Cipro, Lettonia, Polonia e Repubblica Slovacca.
L'Italia segna la sua migliore performance nell'ambito della salute, con 90 punti, potendo contare sul nono posto per la qualità e l'accesso alla sanità e sul quarto posto per l'aspettativa di vita. In termini di accesso all'istruzione, qualità ed equità, il nostro Paese da un lato gode di un buon ratio studenti-insegnanti, dall'altro - rileva il rapporto - da «una mancanza di diversità sociale» nelle scuole, che non favoriscono l'inclusione tra ceti diversi. Tra i punti deboli anche l'alta percentuale di inattivi (i cosidetti Neet che non si impegnano né nel lavoro né nella formazione) tra i giovani (quasi il 20%) e le limitate possibilità di formazione continua, che limitano le opportunità di apprendimento per i lavoratori. Solo il 12,6% delle aziende - sottolinea il rapporto - offre una formazione formale e per i disoccupati è difficile accedere a corsi per migliorare le competenze. Tra le aree su cui intervenire figura, ovviamente, quella delle opportunità di lavoro, dove l'Italia è al 69 posto, penalizzata dagli alti livelli di disoccupazione.
Per far ripartire l'ascensore sociale, il rapporto consiglia, tra le altre misure, di rafforzare la progressività delle tasse sui redditi, riequilibrare le fonti di tassazione, introdurre politiche che contrastino la concentrazione di ricchezza, puntare sull'istruzione e sulla formazione continua, migliorando la disponibilità, la qualità e la diffusione dei programmi educativi. Sarebbe poi necessario offrire una protezione a tutti i lavoratori, indipendentemente dal loro stato occupazionale, in particolare nel contesto del cambiamento tecnologico e delle industrie in transizione. Le aziende, dal canto loro, dovrebbero avere un ruolo guida, promuovendo una cultura di meritocrazia nelle assunzioni, fornendo formazione professionale, migliorando le condizioni di lavoro e pagando salari equi.
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